Con regolare cadenza temporale si discute sui mass media e tra cittadini del problema dei limiti della legittima difesa: anche recenti fatti di cronaca nascenti da episodi di rapine in casa hanno riproposto un tema mai del tutto chiaro e condiviso.
Vediamo nel dettaglio quale è la disciplina giuridica dell’argomento.
La legittima difesa è una sorta di “autotutela” che l’ordinamento giuridico italiano consente nel caso in cui insorga un pericolo imminente (per sé o per altri) da cui è necessario difendersi e non ci sia la possibilità di rivolgersi all’autorità pubblica per ragioni di tempo e di luogo. Probabilmente il legislatore ha voluto tenere conto di un’esigenza del tutto naturale che è legata all’istinto di reagire quando si viene aggrediti.
Per inquadrare correttamente tale fattispecie, occorre partire dal dettato normativo riportando integralmente il testo dell’articolo 52 del codice penale: “Non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa.
Nei casi previsti dall’articolo 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzione di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un’arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere:
a) la propria o la altrui incolumità;
b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo d’aggressione.
La disposizione di cui al secondo comma si applica anche nel caso in cui il fatto sia avvenuto all’interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un’attività commerciale, professionale o imprenditoriale”
I requisiti delle legittima difesa sono quindi sostanzialmente tre:
una necessaria reazione difensiva (non configurabile quando l’aggressore abbia avuto la possibilità di allontanarsi);
il pericolo dell’offesa ingiusta deve essere attuale (esso coincide dunque con un rischio incombente che può causare una effettiva lesione, senza che vi sia possibilità di una richiesta di intervento della forza pubblica da parte dell’aggredito.);
la difesa deve essere proporzionata alla offesa (dottrina moderna e giurisprudenza ritengono che tale giudizio di proporzione debba riguardare essenzialmente i beni in conflitto, mediante un confronto tra l’offesa in concreto minacciata dall’aggressore e quella effettivamente causata dalla reazione difensiva).
A tutto ciò aggiungasi che il legislatore, tramite l’intervento operato con la legge n. 59/2006, ha ampliato i limiti della legittima difesa all’interno delle abitazioni e degli altri luoghi di privata dimora. Attualmente dunque, in tali ipotesi di aggressione in privato domicilio il rapporto di proporzione sussiste iuris et de iure (ossia è considerato una presunzione chenon ammette prova contraria), ed è considerato legittimo difendere, anche con le armi, (purchè legittimamente detenute), beni patrimoniali, propri o altrui, risultando legittimato ogni livello di reazione. Ben inteso che “se Tizio dovesse subire un’aggressione da parte di Caio dovrà comunque utilizzare la minima difesa necessaria ad arginare l’offesa di Caio. Avendo a disposizione un’arma da fuoco, Tizio non sarà dunque automaticamente autorizzato a provocare l’uccisione di Caio, essendo tenuto a valutare la possibilità di respingere l’aggressione sparando un colpo in aria o ferendo l’assalitore alle gambe”( Cfr. Canestrari-Cornacchia-De Simone, Manuale di diritto penale, 2008, p. 557)
Il nostro ordinamento disciplina altresì l’eccesso colposo di legittima difesa a fronte di una reazione di difesa eccessiva: non c’è volontà di commettere un reato ma viene meno il requisito della proporzionalità tra difesa ed offesa configurandosi un’errata valutazione colposa della reazione difensiva.
La norma di riferimento, in questo caso, è rappresentata dall’articolo 55 del codice penale: “Quando, nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51, 52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’autorità ovvero imposti dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, se il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo.”
In questo caso l’onere della prova incombe sul soggetto che ha difeso il diritto proprio o altrui e che dovrà indicare i fatti e le circostanze dai quali si evince l’esistenza della scriminante.
La valutazione è rimessa al libero convincimento del giudice che terrà conto di un ragionevole complesso di circostanze oggettive: l’esistenza di un pericolo attuale o di un’offesa ingiusta; i mezzi di reazione a disposizione dell’aggredito e il modo in cui ne ha fatto uso; il contemperamento tra l’importanza del bene minacciato dall’aggressore e del bene leso da chi reagisce.
Un accenno merita infine la cosiddetta legittima difesa putativa che ricorre in quei casi in cui sussistono gli stessi elementi necessari perché ricorra la legittima difesa cosiddetta “reale”, con un’unica differenza: lo stato di pericolo attuale di ricevere un’offesa ingiusta, anziché essere esistente nella realtà, è per errore ritenuto esistente dal soggetto, in base ad un’errata valutazione della situazione oggettiva. C’è da segnalare che perché ricorra la legittima difesa “putativa” non è sufficiente che questa erronea rappresentazione della realtà sia semplicemente prospettata dall’agente o sia solo frutto di una sua convinzione assolutamente personale. Occorre infatti che l’errata opinione circa l’esistenza del pericolo trovi una giustificazione nell’esistenza di una situazione di fatto, concreta, che – sebbene malamente rappresentata o compresa dal soggetto – sia tale da giustificare la ragionevole convinzione della necessità di un’azione di difesa. Quindi, non rilevano particolari stati d’animo dell’autore del reato, o la pura e semplice paura astratta che altri commettano un reato lesivo di un proprio diritto.
Orbene, alla luce di quanto espresso, risulta evidente la complessità di tale tematica. Con riferimento ai recenti fatti di cronaca, per esempio,se da un lato la legge certamente non può consentire un utilizzo indiscriminato della forza e delle armi, dall’altro però è chiaro che non si possa vivere nel terrore di difendere l’incolumità propria e delle persone care. Ciò detto, pur essendo un po’ macchinosa, tenta di proporre un adeguato bilanciamento delle due esigenze. Resta poi come sempre imprescindibile, per una corretta applicazione delle disposizioni di legge, l’utilizzo di una giusta dose di buon senso.