Un odei temi fondamentali del diritto del lavoro, fors “il” tema fondamentale, è quello della subordinazione del lavoratore.

Ricordiamo prima di tutto cosa prevede il codice civile.

L’art. 2094 recita :

”È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.“

Attorno a questa norma di circa 50 anni si discute, in tutte le università, in tutti i tribunali, negli organismi pubblici (Inps) e di vigilanza: dei limiti e delle caratteristiche del lavoro subordinato, del lavoro parasubordinato, e del lavoro autonomo.

E una soluzione unica ed immodificabile non riesce ad essere individuata, come è naturale che sia.

Anche da ultimo è intervenuta, come in tantissimi altri casi, la Corte di Cassazione con la sentenza 10004 del 2016.

Riportiamo di seguito il commento del sito Wikilabour alla pronuncia: “Il contenuto delle mansioni e la retribuzione fissa non bastano a denotare un rapporto di lavoro come subordinato. Pur affermando quasi sempre principi consolidati in materia di qualificazione del rapporto di lavoro subordinato (soggezione del lavoratore a direttive e controllo, spesso da accertare attraverso elementi sintomatici, senza prescindere dalla volontà manifestata dalle parti, pur non decisiva e tenendo conto del tipo di mansioni), la Corte di cassazione oscilla spesso, nella relativa applicazione, tra un atteggiamento molto formalistico e uno più sostanziale, anche attraverso una modulazione parzialmente diversa degli stessi principi. Così nel caso di specie, in cui ai giudici dell’appello era sembrato evidente che il pizzaiolo che lavora in una pizzeria gestita da altri e che è retribuito in misura fissa non potesse che essere subordinato, la Corte accentua la vocazione formalistica, richiedendo l’accertamento di ulteriori elementi di conferma. “.