La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata su una questione particolarmente delicata, quella dell’obbligo da parte dei genitori di mantenere anche quando questi siano maggiorenni, fintanto che non raggiungano uno status di autosufficienza economica.
Nel caso di specie, la Suprema Corte, con la sentenza n. 20137 del 3 settembre, non aderisce alle motivazioni adottate dai giudici di merito che avevano affermato il diritto di una giovane donna a percepire un assegno mensile di 1.500 euro, dal padre che l’aveva riconosciuta solo dopo la sentenza del giudice. Per i giudici di merito, tale dovere di mantenimento scaturiva dal dovere morale di restituire alla ragazza le opportunità che presumibilmente le erano state negate e che avrebbe potuto cogliere qualora avesse fatto parte della famiglia paterna, i cui membri erano in possesso di un «elevato livello culturale e proporzionati titoli di studio».
La figlia, invece, faceva l’impiegata presso uno studio legale ed aveva, inoltre, un figlio di undici anni.
Come anticipato, la Cassazione si distacca da questo orientamento, aderendo alle doglianze del padre che si incentravano sulla distinzione tra il dovere di mantenimento e il danno da c.d. perdita di chance, chiarendo come la domanda di risarcimento del danno e la domanda di mantenimento siano sostanzialmente differenti ed indipendenti
Nei primi due gradi di giudizio, infatti, i giudici avevano ricondotto il dovere di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore della figlia alla necessità di indennizzarla per la perdita di chance da essa subita.
La Corte di Cassazione afferma come l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne deve essere legato al raggiungimento di un obiettivo, legato al conseguimento di un superiore livello culturale, mentre nel caso specifico così non era. Nel caso di specie, infatti, da parte dei giudici di merito «è stato illegittimamente valorizzato il diverso aspetto della responsabilità genitoriale avente natura squisitamente compensativa e risarcitoria, indebitamente assumendolo a funzione di mantenimento, ma del pari, illegittimamente, stante pure l’assenza di concreti intenti della figlia volti a conseguire, in tempi ragionevoli, traguardi migliorativi in ambito culturale o occupazionale. Si è sostanzialmente colmata la rilevata discrepanza tramite l’attribuzione periodica di una dazione di denaro non correlabile a determinati o determinabili limiti temporali e, dunque, perpetua».
La Cassazione rammenta che il dovere del genitore di mantenere il figlio maggiorenne cessa quando quest’ultimo raggiunge «uno status di autosufficienza economica consistente nella percezione di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato», e nel caso di specie, la figlia aveva senza dubbio raggiunto tale condizione.