Non è dovuto l’assegno divorzile qualora gli accordi transattivi in sede di separazione consentano al coniuge “debole” di mantenere lo stesso tenore di vita avuto in costanza di matrimonio.
In una recente pronuncia della Corte di Cassazione, la n. 26491/2013, la stessa ha confermato il carattere prettamente assistenziale dell’assegno di divorzio sulla base del quale esso è dovuto in favore del coniuge debole qualora lo stesso non sia in grado di mantenere lo stesso tenore di vita avuto in costanza di matrimonio.
La suprema Corte ha ribadito il suo consolidato orientamento secondo cui “l’assegno periodico di divorzio, nella disciplina introdotta dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 10, modificativo della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, ha carattere esclusivamente assistenziale, atteso che la sua attribuzione trova presupposto nell’inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, da intendersi come insufficienza dei medesimi, comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre, a conservargli un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza cioè che sia necessario uno stato di bisogno, e rilevando invece l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle precedenti condizioni economiche, le quali devono essere tendenzialmente ripristinate”.
Pertanto, l’operazione che i Giudici devono effettuare in via preliminare è quella di constatare se il coniuge “debole” sia in grado o meno di mantenere lo stesso tenore di vita avuto in costanza di matrimonio.
Nel caso di specie, in seguito agli accordi transattivi avvenuti in sede di separazione, i Giudici di merito avevano ritenuto esclusa la ricorrenza dei presupposti per la soddisfazione del criterio assistenziale, ma avevano comunque ritenuto di dover concedere l’assegno divorzile basandosi sulle – residue funzioni, ancorchè accessorie, dell’assegno divorzile, e quindi, tenuto conto “del presumibile, relativo sviluppo, in corso di tempo, della già ben avviata attività imprenditoriale dell’ex marito”, che aveva comportato un incremento patrimoniale considerevole in favore di quest’ultimo -.
La Corte di cassazione ha quindi ritenuto che “La Corte territoriale è palesemente incorsa nella violazione del principio sopra indicato, in quanto, dopo aver affermato che “non vi sarebbe esigenza di ulteriori prestazioni dal punto di vista della funzione assistenziale”, ha giustificato l’attribuzione dell’assegno, sia pure in misura ridotta rispetto a quella determinata nella decisione di primo grado, “tenendo conto … delle ulteriori, e pur complementari ed accessorie, funzioni dell’assegno divorzile”, così considerando ed applicando in maniera indistinta, confondendoli fra loro, i criteri di attribuzione e quelli di quantificazione”.