Le Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza n. 6070 del 12.3.2013, hanno affrontato la problematica dell’individuazione della sorte dei rapporti processuali pendenti nel momento in cui una società (nella specie una società di persone) venga cancellata dal registro delle imprese.
In particolare è stato sottoposto ad analisi l’art. 2495 c.c. (cancellazione della società) dopo la riforma del diritto societario avvenuta con il D. lgs n. 6 del 2003 che aveva modificato quanto precedentemente disciplinato, invece, nell’art. 2496 c.c.
I giudici del supremo collegio sono partiti – richiamando le sentenze nn. 4060, 4061 e 4062 del 2010 della stessa Corte- affermando che la cancellazione di una società di capitali dal registro delle imprese è idonea a provocare l’estinzione dell’ente anche qualora non tutti i rapporti giuridici ad esso facenti capo siano stati definiti.
Ciò premesso, prendendo in considerazione gli eventuali rapporti passivi ancora in essere, opera comunque un meccanismo successorio la cui ratio è quella di evitare che un comportamento unilaterale dell’ente, che sfugge al controllo del creditore, possa espropriare quest’ultimo dal suo diritto.
La Corte ha quindi, nel merito del ricorso, statuito i seguenti principi di diritto:
“Qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale:
a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali;
b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto una attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato”.
Ed inoltre che: “La cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l’estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli artt. 299 e segg. c.p.c., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta”.
Infine, è opportuno ricordare come, comunque, rimanga fermo quanto previsto dall’art. 10 della legge fallimentare, ove viene fatta salva la possibilità per gli imprenditori individuali e collettivi di essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione del registro delle imprese qualora “l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo”, e di come, inoltre, “in caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del primo comma”.