La tanto dibattuta questione della casa concessa in comodato per uso familiare pare essere giunta al termine, anche se la sentenza della Cassazione nella sua massima composizione (S.U. 20448/2014) lascia perplessi quanti continuano a difendere il diritto di proprietà, che sembra non essere più così assoluto nel nostro ordinamento.
L’annoso dibattito nasce da una vicenda alla quale spesso si assiste nella realtà: un genitore concede in comodato un immobile di sua proprietà al figlio quando questi si sposa, al fine di stabilirvi la residenza familiare. Successivamente, a seguito dell’intervenuta crisi coniugale, la casa viene assegnata al genitore affidatario dei figli, che è genero o nuora del comodante. A questo punto, il comodante vorrebbe restituito l’immobile.
Il contratto di comodato è un contratto essenzialmente gratuito con il quale una parte consegna all’altra un bene di sua proprietà, mobile o immobile, affinché se ne serva per un uso determinato. Esistono due tipi di comodato: il comodato in senso stretto prevede che il comodatario restituisca il bene alla scadenza del termine pattuito o, in mancanza, quando se ne è servito in conformità del contratto (art. 1809 c.c.); il comodato precario, al contrario, non prevede termine di durata: in questo caso il comodante può richiedere la restituzione in qualunque momento.
Orbene, l’inquadramento nell’una o nell’altra categoria determina, quindi, conseguenze ben diverse.
Il punto centrale, però, è un altro: la giurisprudenza maggioritaria inquadrava il caso in esame all’interno del comodato precario, con l’impossibilità, però, per il comodante, stante il preminente interesse della prole a mantenere la residenza, di richiedere la restituzione dell’immobile, a meno che non fossero sopravvenuti bisogni imprevedibili e urgenti.
A tale orientamento se ne contrapponeva un altro, secondo il quale la circostanza che il comodato fosse stato disposto allo scopo di stabilire la residenza familiare non poteva costituire una deroga all’art. 1810 c.c., secondo cui, quando non è disposto un termine per la restituzione e questa non risulta dall’uso a cui la cosa è destinata, allora il comodate può richiedere la restituzione in qualunque momento.
Il contrasto giurisprudenziale è stato risolto dalle Sezioni Unite in favore del primo orientamento, che abbraccia la concezione familiarista anziché quella contrattualista, con delle importanti precisazioni a livello di inquadramento giuridico.
Il contratto di comodato con cui si concede un immobile al fine di adibirlo a casa familiare, non rientra, infatti, nell’alveo del comodato precario, bensì in quello in senso stretto. Di conseguenza, anche se non è previsto un termine di durata, il contratto è sorto per uno scopo determinato, quindi il termine è determinabile per relationem, in considerazione dell’uso determinato dato dalla destinazione della casa familiare.
Ne consegue che il comodante può ottenere la restituzione solo quando il comodatario abbia esaurito lo scopo: nel caso concreto, cioè, quando vengono meno le esigenze familiari. Il che accade, normalmente, quando i figli diventano autosufficienti economicamente ovvero trasferiscono altrove i propri centri di interesse.