stress da lavoro

La suprema Corte riconosce il risarcimento del danno biologico confermando che la temporanea inattività viene computata ai fini della determinazione della durata del lavoro.

La Corte di Cassazione, con la sentenza del 24 ottobre 2012, n. 18211, ha confermato una pronuncia di merito che prevedeva il risarcimento del danno biologico patito da un portiere di notte il cui orario di lavoro era stato ricostruito in dodici ore continuative.
I Giudici di legittimità hanno confermato la pronuncia richiamando due precedenti della stessa Corte:
(Cass. Sez. Lav. n. 21695 del 14/08/2008) «il principio di ragionevolezza, in base al quale l’orario di lavoro deve comunque rispettare i limiti imposti dalla tutela del diritto alla salute, si applica anche alle mansioni discontinue o di semplice attesa per le quali la variabilità, caso per caso, della loro onerosità – che dipende dalla intensità e dalla natura della prestazione ed è diversa a seconda che questa sia continuativa, anche se di semplice attesa, o discontinua – impedisce una limitazione dell’orario in via generale da parte del legislatore.»
(Cass. Sez. Lav. n. 5023 del 2/3/2009) «il criterio distintivo tra riposo intermedio, non computabile ai fini della determinazione della durata del lavoro, e semplice temporanea inattività, computabile, invece, a tali fini, e che trova applicazione anche nel lavoro discontinuo, consiste nella diversa condizione in cui si trova il lavoratore, il quale, nel primo caso, può disporre liberamente di se stesso per un certo periodo di tempo anche se è costretto a rimanere nella sede del lavoro o a subire una qualche limitazione, mentre, nel secondo, pur restando inoperoso, è obbligato a tenere costantemente disponibile la propria forza di lavoro per ogni richiesta o necessità».