Con la sentenza 25/2025, la Corte Costituzionale ha eliminato il requisito della conoscenza della lingua per le persone con gravi limitazioni cognitive che impediscono di impararla. In questo articolo vediamo come si diventa cittadini italiani e quali novità a introdotto la sentenza della Corte Costituzionale.
Che cosa prevede oggi la legge sulla cittadinanza?
La legge n. 91 del 1992 disciplina i modi di accesso alla cittadinanza italiana. La cittadinanza rappresenta uno status giuridico importante per una persona residente in Italia: comporta, ad esempio, il diritto di votare e candidarsi alle elezioni e il diritto di viaggiare liberamente in Unione Europea e in quasi tutti i Paesi del mondo grazie al passaporto italiano.
La cittadinanza italiana, secondo l’articolo 1 della legge 91/1992, normalmente si acquista se si è figli di almeno un cittadino italiano, oppure, residualmente, se si è nati in Italia da genitori apolidi o ignoti. Per questa ragione si dice che in Italia vige lo jus sanguinis, il diritto di cittadinanza acquisito dalla famiglia.
Per la stessa ragione, diventano cittadini italiani coloro che vengono adottati da italiani (articolo 3), il figlio minore riconosciuto da parte di cittadini italiani (articolo 2) o, ancora, i figli minorenni di una persona che acquista la cittadinanza italiana (articolo 14).
Può diventare cittadino italiano anche chi, avendo un genitore o un nonno cittadini italiani, presti servizio militare per le forze armate italiane, lavori come pubblico dipendente per la Repubblica oppure risieda legalmente da maggiorenne per due anni in Italia e dichiari di voler acquisire la cittadinanza.
Allo stesso modo si può fare richiesta di cittadinanza se si nasce in Italia e vi si risiede legalmente fino ai 18 anni (articolo 4).
La cittadinanza per matrimonio o per naturalizzazione
Secondo la legge n. 91/1992 si può diventare cittadini italiani anche per matrimonio o per naturalizzazione:
- L’acquisizione di cittadinanza per matrimonio prevede che il coniuge – quindi anche chi contrae un’unione civile con persone dello stesso sesso – straniero o apolide di un cittadino italiano possa diventare cittadino dopo due anni di matrimonio in caso di residenza in Italia e tre anni in caso di residenza all’estero (articolo 5).
- La cittadinanza per naturalizzazione, invece, si acquista con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato e su proposta del Ministro dell’Interno in alcuni casi specifici. I più importanti a livello numerico sono l’acquisto della cittadinanza italiana da parte del cittadino di uno Stato membro dell’Unione Europea dopo quattro anni di residenza in Italia (articolo 9 lettera d), e l’acquisto della cittadinanza da parte di cittadini stranieri extra-UE dopo dieci anni di residenza in Italia (articolo 9 lettera f).
Per i casi di acquisto della cittadinanza per matrimonio o per naturalizzazione, nel 2018 è stato introdotto con il c.d. Decreto sicurezza l’articolo 9.1. Questo articolo prevede che chi vuole acquisire la cittadinanza in questo modo deve dimostrare il possesso di un’adeguata conoscenza della lingua italiana, cioè, almeno, un livello B1 del Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue (QCER), come prova dell’avvenuta integrazione nella società italiana. Soltanto chi sottoscrive l’accordo di integrazione previsto dalla legge sull’immigrazione o chi fosse titolare di un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è esentato.
Tutti gli altri, invece, al momento della presentazione dell’istanza di cittadinanza, devono presentare alle autorità competenti il possesso di un titolo di studio rilasciato da un istituto di istruzione pubblico o paritario italiano, o in alternativa una certificazione di conoscenza della lingua rilasciata da enti accreditati.
Ed è proprio su questo aspetto che è arrivato l’intervento della Corte Costituzionale, che ha modificato la legge.
Il ragionamento della Corte Costituzionale
Nel maggio 2024 il TAR dell’Emilia-Romagna ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 9.1 della legge 91/1992.
Un’anziana donna straniera con diverse patologie causa di deficit cognitivi certificati dall’ASL si era rivolta al TAR perché la sua richiesta era stata rigettata per non aver presentato l’attestazione di conoscenza della lingua. La donna ha argomentato che, a causa della sua situazione clinica, apprendere la lingua italiana al livello B1 le era del tutto impossibile e il TAR ha apprezzato questa argomentazione.
Nella questione di legittimità costituzionale, il TAR ha dedotto la violazione di quattro articoli della Costituzione:
- l’articolo 2, che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo
- l’articolo 3 che garantisce il principio di uguaglianza formale e sostanziale e incardina il principio di ragionevolezza
- l’articolo 10, che, per l’effetto di aprire l’ordinamento al diritto internazionale, consente di chiedere il rispetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità
- l’articolo 38, che riconosce il diritto alla tutela delle categorie fragili della società, tra cui gli “inabili” e i “minorati”
La Corte ha svolto un ampio ragionamento partendo dalle ragioni che giustificano il requisito del livello B1 di conoscenza della lingua per l’ottenimento della cittadinanza: si tratta infatti di un livello di conoscenza che esprime una certa padronanza della lingua da parte del soggetto e dunque di una sua autonomia.
La Corte ha fatto notare come le norme che oggi regolano il requisito della lingua per ottenere la cittadinanza siano in contrasto con diverse norme già vigenti che tutelano le persone affette da limitazioni cognitive e sottolinea come altri Paesi europei molto vicini a noi come tradizione giuridica, come Francia, Germania e Regno Unito, prevedano già l’esenzione dal requisito della conoscenza linguistica per categorie di persone con gravi limitazioni all’apprendimento che facciano richiesta di cittadinanza.
Infine, dice la Corte, essa stessa nel 2017 si era pronunciata riguardo l’articolo 10 proprio della legge 91/1992, dichiarando l’illegittimità della norma in quanto non esonerava le persone con gravi e accertate forme di disabilità dal prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica.
Secondo la Corte questa norma era irragionevole, perché il nostro ordinamento afferma che nessuno è obbligato a fare cose impossibili.
La decisione finale della Corte Costituzionale
Per tutte queste ragioni, la Corte ha dichiarato che l’articolo 9.1 viola l’articolo 3 della Costituzione. Questo articolo contrasta con il principio di uguaglianza perché non esonera dalla prova della conoscenza della lingua italiana chi richiede la cittadinanza essendo affetto da gravi limitazioni nell’apprendimento per via della sua età, di patologie o di una condizione di disabilità attestata da un’autorità sanitaria pubblica.
Dal principio di uguaglianza espresso dall’articolo 3, infatti, discende il corollario che situazioni diverse richiedono norme diverse, situazioni uguali richiedono norme uguali: è il principio di ragionevolezza.
Non è infatti ragionevole che la legge richieda la stessa prestazione nell’apprendimento della lingua a persone che soffrono di importanti limitazioni cognitive dettate da patologie, da una forma di disabilità o dall’età come se fossero persone normodotate, senza dunque riconoscere attraverso una differenziazione nelle norme applicabili le diverse condizioni personali in cui versano questi individui.
Altrimenti, anche in questo caso, come per il giuramento prima della sentenza del 2017, l’ordinamento starebbe chiedendo a queste persone di fare qualcosa che per loro è impossibile.
Si tratta di una conquista importante per gli stranieri con limitazioni cognitive, che d’ora in avanti vedranno riconosciuto il proprio diritto ad ottenere la cittadinanza senza la necessità di far valere la propria condizione personale con dispendiosi procedimenti di fronte ai TAR.
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