La Corte Costituzionale, con la sentenza 50/2014, è intervenuta in merito alle sanzioni previste dal d.lgs. 23/2011 per la mancata registrazione del contratto di locazione ad uso abitativo.
Il Tribunale di Salerno, il Tribunale di Palermo, il Tribunale di Firenze, il Tribunale di Genova, nonché il Tribunale di Roma, sezione distaccata di Ostia, avevano sollevato – in riferimento agli artt. 3, 23, 41, 42, 53, 55, 70, 76 e 97 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), nella parte in cui prevedono un meccanismo di sostituzione sanzionatoria della durata del contratto di locazione per uso abitativo e di commisurazione del relativo canone in caso di mancata registrazione del contratto entro il termine di legge, nonché l’estensione di tale disciplina – e di quella relativa alla nullità dei contratti di locazione non registrati – anche alle ipotesi di contratti di locazione registrati nei quali sia stato indicato un importo inferiore a quello effettivo, o di contratti di comodato fittizio registrati.
Il comma 8 dell’art. 3, d.lgs. 23/2011, prevede che per i contratti di locazione degli immobili ad uso abitativo, comunque stipulati, che, ricorrendone i presupposti, non sono registrati entro il termine stabilito dalla legge, la disciplina stabilita dalle parti subisce significative modificazioni.
Infatti, la durata della locazione viene fissata in quattro anni, a decorrere dalla data di registrazione, volontaria o d’ufficio; al relativo rinnovo si applica, poi, la disciplina prevista dall’art. 2, comma 1, della legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), per la quale il contratto di locazione viene rinnovato per un periodo di quattro anni, fatti salvi alcuni casi specifici; il canone annuo, infine, a decorrere dalla data della registrazione del contratto, viene fissato, salvo che le parti abbiano pattuito un canone di importo inferiore, in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre l’adeguamento, dal secondo anno, pari al 75% dell’aumento degli indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati ed operai.
Stabilisce, inoltre, il comma 9 dello stesso art. 3 che queste disposizioni – oltre a quelle previste dall’art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2005), che sancisce la nullità dei contratti di locazione non registrati – si applicano anche nei casi in cui: a) nel contratto di locazione registrato sia stato indicato un importo inferiore a quello effettivo; b) sia stato registrato un contratto di comodato fittizio.
Tale disciplina, secondo i Giudici a quibus, risulterebbe in contrasto, anzitutto, con gli artt. 70 e 76 Cost., in quanto esulerebbe dalla delega di cui alla legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), nonché in relazione anche agli artt. 6, comma 2, e 10, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente): la citata legge di delega n. 42 del 2009, infatti, non soltanto non avrebbe introdotto principi alla stregua dei quali consentire l’introduzione delle disposizioni oggetto di censura, ma avrebbe previsto, all’art. 2, comma 2, lettera c), che il legislatore delegato si attenesse ai principi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente, cosa che non è avvenuta nel caso di specie.
I giudici a quibus avevano prospettato anche il contrasto con gli artt. 3, 41, 42 e 53 Cost., in quanto le sanzioni previste dalla normativa oggetto di censura risulterebbero ingiustificatamente penalizzanti per il locatore, dal momento che sostituiscono il canone convenzionale con altro determinato ex lege in misura irrisoria, e premiali, invece, per il conduttore, dando anche al contratto una durata di quattro anni rinnovabile per altri quattro anni.
La Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione di illegittimità costituzionale in riferimento al parametro di cui all’art. 76 Cost., sotto il profilo del difetto di delega.
Secondo la Corte, emerge con evidenza che la disciplina oggetto di censura si presentasse del tutto priva di “copertura” da parte della legge di delegazione: in riferimento sia al relativo ambito oggettivo, sia alla sua riconducibilità agli stessi obiettivi perseguiti dalla delega.
Con la legge n. 42 del 2009, infatti, il Parlamento aveva inteso introdurre «disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, a disciplinare l’istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante nonché l’utilizzazione delle risorse aggiuntive e l’effettuazione degli interventi speciali di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione perseguendo lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo economico del Paese». Accanto a ciò, l’obiettivo dichiarato era quello di disciplinare «i principi generali per l’attribuzione di un proprio patrimonio a comuni, province, città metropolitane e regioni», dettando «norme transitorie sull’ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale».
Si trattava, dunque, di un ambito normativo rispetto al quale il tema di cui alla disciplina di cui all’art. 3, d.lgs. 123/2011, risultava del tutto estraneo, essendo questa destinata ad introdurre una determinazione legale di elementi essenziali del contratto di locazione ad uso abitativo (canone e durata), in ipotesi di ritardata registrazione dei contratti o di simulazione oggettiva dei contratti medesimi, pur previste ed espressamente sanzionate nella disciplina tributaria di settore.