Il contratto a tutele crescenti introdotto dal Jobs Act ed entrato in vigore nel marzo del 2015 è incostituzionale? Secondo il Tribunale di Roma il sospetto di incostituzionalità è fondato. Nella sua ordinanza del 26 luglio 2017 il giudice del lavoro di Roma rimette al giudizio della Corte Costituzionale alcuni articoli del d.lgs e della legge delega che disciplinano la materia.

In questo articolo vedremo: cosa si intende con “contratto a tutele crescenti” e perché alcuni degli articoli della norma potrebbero essere incostituzionali, anche rispetto alle norme sovranazionali in materia.

Gli articoli in dubbio di costituzionalità

Secondo il giudice gli artt. 2 , 4 , 10 del decreto legislativo 23/2015 e l’articolo 1, comma 7 della legge delega 183/2014 sono in contrasto con alcuni articoli della Costituzione. Il Tribunale di Roma analizza, inoltre, la nuova legge sul risarcimento in caso di licenziamento illegittimo, cioè il “contratto a tutele crescenti”, anche rispetto alle norme sovranazionali (Carta di Nizza e Carta Sociale).

Il Jobs Act ha introdotto il ”contratto a tutele crescenti”: cosa si intende esattamente con questo termine?

Il termine “contratto a tutele crescenti” può trarre in inganno, perché non fa riferimento ad un nuovo tipo di contratto, come si potrebbe pensare, ma al nuovo regime sanzionatorio introdotto dal Jobs Act in caso di licenziamento illegittimo. Riguarda quindi il modo in cui viene calcolata l’indennità in caso di licenziamento illegittimo: più l’anzianità di servizio del lavoratore in azienda è alta, più alta sarà l’indennità cui ha diritto, fino ad un massimo di 24 mensilità.

Il contratto a tutele crescenti ha sostituito la disciplina prevista dall’art. 18 della Legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori) e si applica solo ai lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo l’entrata in vigore del Jobs Act (nello specifico del decreto legislativo n. 23/2015 attuativo della legge 183 del 2014), quindi a partire dal 7 marzo 2015.

Risarcimento in caso di licenziamento illegittimo: tutele crescenti VS articolo 18

L’articolo 18 stabiliva che il dipendente licenziato illegittimamente poteva o essere reintegrato nel posto di lavoro oppure ottenere un’indennità sostituiva pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto. In entrambi i casi aveva diritto al risarcimento del danno, cioè di “recuperare” gli stipendi persi durante il periodo di licenziamento illegittimo o comunque non meno di 5 mensilità.

Nel 2012, la Legge Fornero ha ridotto la possibilità di ricevere un risarcimento, con l’introduzione di quattro diversi regimi di tutela a seconda del tipo di licenziamento. Nel 2015, infine, con il “contratto a tutele crescenti” introdotto dal Jobs Act, le possibilità che il lavoratore venga reintegrato sono state ulteriormente limitate e la sanzione principale a carico dell’azienda che l’ha licenziato illegittimamente è il pagamento di un risarcimento.

Ecco, per punti, le principali novità introdotte dalla nuova norma:

  • secondo il contratto a tutele crescenti il lavoratore può essere reintegrato solo in questi casi:
    – se il licenziamento è discriminatorio, cioè se avviene a causa del credo politico del lavoratore o della sua religione, o perché appartiene ad un sindacato o partecipa all’attività sindacale, compreso lo sciopero, per ragioni razziali, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basate sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali del dipendente
    – se il licenziamento è nullo ai sensi di legge
    – se il licenziamento è comunicato oralmente
    – se il giudice accerta che manca la giustificazione al licenziamento quando il motivo consiste nella disabilità fisica o psichica del lavoratore
    – se si tratta di un licenziamento disciplinare per cui viene dimostrato davanti al tribunale che il fatto contestato al lavoratore non sussiste
  • nel caso delle imprese con meno di 15 dipendenti, il lavoratore licenziato illegittimamente per motivi disciplinari, ma per cui il fatto non sussiste, non può essere reintegrato e il suo risarcimento è dimezzato rispetto a quello di un dipendente di un’azienda con più di 15 dipendenti
  • la nuova norma vuol rendere anche più rapida la soluzione dei contenziosi sul licenziamento, per questo prevede che il datore di lavoro che ha illegittimamente licenziato un lavoratore paghi immediatamente un indennizzo compreso tra 2 e 24 mensilità, il cui calcolo dipende dagli anni di servizio prestati in azienda

In conclusione: rispetto alla disciplina prevista dall’articolo 18, con il contratto a tutele crescenti il lavoratore licenziato illegittimamente ha meno garanzie. Nella maggior parte dei casi ha solo diritto ad un indennizzo economico, il cui importo dipende dal tempo trascorso in azienda, e solo in poche situazioni ha diritto al reintegro.

Lettera di licenziamento per giusta causaE se invece il licenziamento è legittimo, cosa prevede la legge?
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Perché il contratto a tutele crescenti è incostituzionale secondo il Tribunale del lavoro di Roma?

Nel luglio 2017 il Tribunale del lavoro di Roma, chiamato a dirimere un contenzioso tra una lavoratrice licenziata e l’azienda, ha sollevato dei dubbi sulla conformità della disciplina sul contratto a tutele crescenti con alcuni articoli della Costituzione, rimettendo la questione alla Corte Costituzionale.

Secondo il giudice la nuova norma è in contrasto con:

L’art. 3 della Costituzione Italiana

L’art. 3 recita “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Per il Tribunale di Roma l’importo del risarcimento cui ha diritto il lavoratore licenziato illegittimamente, non è né una compensazione per l’impiego perduto, né un deterrente al licenziamento ma, anzi, le sue conseguenze sono discriminatorie.

Infatti, le tutele offerte dalla nuova normativa non sono “crescenti”, perché, col passare del tempo, al lavoratore non vengono riconosciute maggiori garanzie, ma solo un indennizzo maggiore, a differenza delle tutele previste per i dipendenti assunti prima dell’entrata in vigore del Jobs Act.

La disparità di trattamento non è solo fra i lavoratori della stessa azienda assunti prima e dopo il Jobs Act, ma anche fra le persone assunte dopo l’entrata in vigore della nuova norma, perché i dirigenti non rientrano nella disciplina delle tutele crescenti, mentre i lavoratori che non hanno la qualifica di dirigenti, sì.

Gli articoli 4 e 35 della Costituzione

L’art. 4 recita “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”,
mentre l’art. 35 recita “La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero

Per il Tribunale di Roma, in contrasto con quanto sancito in Costituzione, la nuova norma attribuisce al diritto al lavoro un controvalore monetario irrisorio e fisso.

Infatti, il diritto al lavoro, che secondo la Carta costituzionale è uno strumento di realizzazione della persona e un mezzo di emancipazione sociale ed economico, viene valutato con una quantificazione modesta rispetto alla norma del 2012 (92/2012) ancora in vigore, basata invece su un criterio crescente per cui il valore del lavoro prestato aumenta con l’aumentare dell’anzianità del dipendente in azienda.

Contratto a tutele crescenti e normativa sovranazionale

Infine, il Tribunale di Roma considera incostituzionale il contratto a tutele crescenti anche rispetto agli articoli 117 e 76 della Costituzione, perché la sanzione per le aziende che licenziano illegittimamente i dipendenti assunti dopo il Jobs Act è inadeguata anche rispetto alle fonti sovranazionali del Diritto: Carta di Nizza e Carta Sociale.

Quindi, secondo il giudice del lavoro, la normativa contrasta anche con le norme comunitarie e le convenzioni sovranazionali, che avrebbe invece dovuto rispettare.

La Carta di Nizza, infatti, impone agli Stati membri di tutelare in modo adeguato le persone che subiscono un licenziamento ingiustificato. La Convenzione ILO n.158 del 1982 prevede inoltre che, in caso di licenziamento ingiustificato, se il giudice non ha il potere di annullare il licenziamento o di proporre il reintegro del lavoratore, può ordinare all’azienda di versare un indennizzo adeguato o un’altra forma di riparazione appropriata.

Infine, la Carta Sociale europea stabilisce che, in caso di licenziamento, le parti si impegnano a riconoscere:
“a) il diritto dei lavoratori di non essere licenziati senza un valido motivo legato alle loro attitudini o alla loro condotta o basato sulle necessità di funzionamento dell’impresa, dello stabilimento o del servizio;
b) il diritto dei lavoratori licenziati senza un valido motivo, ad un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione”.

Sergio Palombarini: Avvocato del lavoro a Bologna

Il nostro Studio è a vostra disposizione per consulenza e assistenza in diritto del lavoro. L’Avvocato Sergio Palombarini è un appassionato della materia fin dai primi anni di carriera, è Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Bologna e Socio di Ager-Agi, Avvocati giuslavoristi dell’Emilia Romagna, emanazione regionale della Associazione Avvocati giuslavoristi italiani. Ha patrocinato pratiche giuslavoristiche e di diritto sindacale avanti alle Preture, Tribunali e Corti di Appello di Bologna, Milano e svariate altre sedi del centro-nord Italia.

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