L’assegno divorzile deve essere corrisposto al coniuge bisognoso dopo la sentenza di divorzio, cioè quando il vincolo matrimoniale viene sciolto, laddove il coniuge beneficiario sia nella condizione di non avere mezzi adeguati di sostentamento e di non poter procurarseli per ragioni oggettive (interpretato, quest’ultimo, in maniera ampia).
Dunque anche l’assegno divorzile, come quello di mantenimento, ha una funzione assistenziale/solidaristica: serve ad evitare che, a causa del divorzio, si deteriorino le condizioni patrimoniali e vitali del coniuge economicamente più debole. Tuttavia, a differenza dell’assegno di mantenimento, esso interviene in un momento in cui il nucleo familiare non esiste più.
Il codice civile e la legge sul divorzio, data l’epoca in cui furono emanati, sembrano non tenere in debita considerazione il proliferare del fenomeno della convivenza more uxorio e di come essa possa incidere (in melius o in peius) sulle condizioni personali dell’ex coniuge.
In ambito giurisprudenziale, sino ad ora, non erano stati apportati particolari correttivi a tale problematica, almeno fino alla pronuncia dell’8.3.2013 della Corte d’Appello di Bologna che ha considerato la nuova convivenza more uxorio, istaurata dall’avente diritto all’assegno, come condizione sufficiente a revocare l’assegno stesso.
Nel caso di specie, i giudici si sono interrogati sulla compatibilità dell’assegno divorzile, di natura assistenziale, con l’instaurazione di una nuova stabile convivenza more uxorio ampiamente dimostrata, dalla quale risulti che il coniuge non versi in condizioni economiche precarie.
Sulla base di tali premesse, la Corte ha ritenuto di dover fare proprio l’orientamento della Prima sezione della Corte di Cassazione emerso dalla pronuncia n. 17195 del 11.08.2011, secondo il quale “l’instaurazione di un rapporto stabile e duraturo di convivenza (c.d famiglia di fatto) altera o rescinde la relazione con il tenore e il modello di vita caratterizzanti la pregressa convivenza matrimoniale e, così, il presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile.”
Ciò non toglie che “della precarietà della situazione si tiene conto ammettendo che il relativo diritto entri in uno stato di quiescenza, potendosene riproporre l’attualità per l’ipotesi di rottura della convivenza tra i familiari di fatto”.
Aderendo a tale orientamento, la Corte d’Appello di Bologna ha ritenuto che nel caso di specie tale ultimo criterio dovesse essere prevalente rispetto a quello precedentemente sostenuto dalla Corte di Cassazione che riteneva comunque necessario che l’onerato dell’assegno divorzile dovesse fornire comunque la prova, almeno presuntiva, del paventato mutamento “in melius” delle condizioni patrimoniali dell’ex coniuge conseguito alla instaurazione della relazione e con il limite minimo intangibile delle condizioni minime di autonomia economica giuridicamente garantita che l’art. 5 della legge sul divorzio ha inteso tutelare finché non si contragga un nuovo matrimonio.