La Corte apre alla possibilità per i future coniugi di regolare alcuni aspetti patrimoniali in caso di successive divorzio.
Con la pronuncia n. 23713 dello scorso 21 dicembre, la Corte di Cassazione ha riconosciuto la validità di un accordo prematrimoniale stipulato dai nubendi alla vigilia delle nozze.
La pronuncia rappresenta una non indifferente novità nel nostro ordinamento che, sin dall’inizio degli anni ottanta, considerava gli accordi stipulati dai coniugi in vista del divorzio, nulli per illiceità della causa. Gli argomenti a sostegno della tesi restrittiva sono stati sempre solidamente sostenuti anche dalla dottrina maggioritaria e, fin ora, hanno ruotato prevalentemente sul contrasto con l’art. 160 c.c. che prevede l’inderogabilità dei diritti e dei doveri nascenti dal matrimonio. Un accordo di questo tipo – si argomentava – aveva causa illecita perché contrario a disposizioni di legge in quanto comportava il c.d. “commercio di status”, in contrasto con l’inderogabilità dello stesso, nonché la disponibilità dell’assegno divorzile, che ha natura assistenziale e pertanto è indisponibile.
La Corte, riprendendo alcune argomentazioni della dottrina che, seppur minoritaria, avvertiva l’esigenza del cambiamento, ha effettuato un significativo – ma in parte già anticipato dalla giurisprudenza di merito – cambiamento di rotta: gli accordi prematrimoniali non contrastano ex sè con l’art. 160 per almeno due ordini di motivi. Il primo è che l’art. 160 regola i rapporti tra coloro che sono già sposati: ciò implica che un accordo stipulato prima del matrimonio non può essere regolato, nè tantomeno porsi in contrasto con l’art. 160, ma – come ha sottolineato la Suprema Corte – semmai dall’art. 1322c.c., che regola l’autonomia contrattuale delle parti.
Il secondo motivo, quello maggiormente discusso dalla dottrina, dato che la Corte non si era ancora mai pronunciata specificamente sulla questione, è che la crisi coniugale nel caso esaminato dalla Corte è considerata come condizione risolutiva di un accordo economico precedente il matrimonio e non riguardante i diritti e i doveri disciplinati dall’art. 160 c.c.
Lo scioglimento del matrimonio viene considerato dalla Corte non una mera condizione potestativa, quindi, ma una condizione la cui verificazione dipende dalla volontà di entrambi i coniugi, e comunque, dalla oggettiva intollerabile prosecuzione della convivenza, ovvero dal venir meno della comunione materiale e spirituale dei coniugi.
Se quindi il contratto stipulato dai futuri coniugi prima delle nozze (e tali tesi potrebbero estendersi anche agli accordi conclusi in sede di separazione, valevoli per il divorzio) prevede clausole meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c., contenenti prestazioni corrispettive proporzionate, esso non può dirsi nullo perchè in contrasto con norme imperative, ma è pienamente valido e diviene efficace al verificarsi della condizione del divorzio, indi la parte creditrice può rivolgersi al giudice per ottenere una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c qualora l’altro (ex) coniuge non adempia spontaneamente a quanto pattuito.