decreto del fare

Il D.L. 69/2013, c.d. “Decreto del Fare“, ha introdotto – nell’ambito delle misure per l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile – un nuovo articolo del Codice di Procedura Civile – l’art. 185 bis (Proposta di conciliazione del giudice) – che testualmente recita: “Il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice”.

La norma in questione è pensata dal legislatore per tentare di snellire la causa e velocizzare il più possibile la definizione della controversia. L’enorme arretrato civile dei nostri tribunali e la tendenza (tutta italiana, in controtendenza con altre realtà europee) a ricorrere al giudice per ogni tipo di questione – talvolta anche di piccolissimo valore economico – hanno suggerito di fornire al giudice uno strumento diretto per cercare di risolvere, anche alla prima udienza, la gran parte delle controversie.

Prima di esporre almeno una considerazione sulla (recentissima) norma e provare, anzitutto, a definirne il campo di applicazione, diciamo subito che nel nostro processo civile era già previsto l’istituto della conciliazione giudiziale di cui all’art. 185 cpc. L’articolo così recita: “Il giudice istruttore, in caso di richiesta congiunta delle parti, fissa la comparizione delle medesime al fine di interrogarle liberamente e di provocarne la conciliazione […omissis…].
 Il tentativo di conciliazione può essere rinnovato in qualunque momento dell’istruzione.
 Quando le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della convenzione conclusa. Il processo verbale costituisce titolo esecutivo”.

E’ dunque evidente una prima fondamentale differenza tra le due previsioni normative: con portata più generale, l’art. 185 bis neo-introdotto concede al giudice – di propria iniziativa – la facoltà di sottoporre alle parti una proposta di conciliazione; l’art. 185 invece disciplina il caso (ben più particolare) di tentativo di conciliazione giudiziale disposto su proposta congiunta delle parti.

La portata innovativa della norma introdotta dal Decreto del Fare è chiara: il giudice ha autonomamente il potere di tentare la definizione della controversia, prima ancora che attraverso la sentenza, con una proposta conciliativa o transattiva che ritenga di sottoporre alle parti.
Ben inteso, il giudice non è obbligato a tentare in ogni caso la definizione bonaria della lite: può farlo “ove possibile”. La possibilità deriva dalla natura del giudizio, dal valore della controversia e dall’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto. Ecco quindi come si delimita il potere del giudice: egli non sarà comunque obbligato a fare proposte alle parti nel corso del giudizio e, come visto, anche all’inizio di questo (cosa che peraltro, in taluni casi, sarebbe infatti irragionevole), ma potrà valutare i tempi e i modi per cercare di far accordare litiganti.

In tutte le controversie di limitato valore economico e che non richiedono una fase istruttoria complessa (o che addirittura non la richiedono proprio, perché la causa può già essere decisa “sulle carte”), il giudice quindi dovrebbe privilegiare questo strumento. Con un duplice vantaggio: definire una lite molto rapidamente e senza l’emanazione di una sentenza consente allo Stato di risparmiare ingenti quantità di denaro; in secondo luogo i cittadini si trovano a dovere sostenere spese legali molto inferiori a quelle che originano da un contenzioso di anni e anni.

Ma ecco una prima questione, rilevata già da molti avvocati: per formulare una proposta conciliativa o transattiva, magari alla prima udienza, il giudice deve già conoscere benissimo la causa, gli atti e gli eventuali elementi probatori prodotti dalle parti. Come è possibile che vi sia questa conoscenza con un carico sul ruolo di centinaia, talvolta migliaia, di fascicoli a giudice?

Dunque, una norma innovativa e, perché no, anche di buon senso – che porta a tentare di definire immediatamente una lite ove ne ricorrano le condizioni, senza ostinatamente coltivare una causa pluriennale – rischia di essere parzialmente sterilizzata dai soliti problemi contingenti.

In ogni caso non mancheremo di tornare sull’argomento in futuro, quando l’esperienza e la prassi potranno far tracciare un primo bilancio pratico di questa novità.