Ci occupiamo oggi di gratuito patrocinio, più correttamento detto patrocinio a spese dello Stato, ossia la normativa che dovrebbe consentire alle persone meno facoltose, meno “abbienti”, di accedere alla giutizia, di poter avere un proprio avvocato, avvocato del lavoro, ma anche avvocato civilista, penalista, così come in ambito amministrativo, e tributario.
Il testo che segue, scritto dall’avv. Sergio Palombarini, farà parte anche di una prossima pubblicazione che verrà diffusa in occasione dell’imminente Congresso nazionale forense.
Fare il punto oggi sullo stato attuale della disciplina dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato non è semplice.
Si tratta di un ramo del diritto assai complesso e a volte confuso.
Nello stesso tempo siamo in presenza di una normativa applicata a volte in modo distorto, lento e farraginoso, con i rischio di più o meno gravi lesioni dei diritti dei cittadini e dei loro avvocati.
Sul versante dei procedimenti penali la casistica e le interpretazioni si accavallano e susseguono a spron battuto.
Anche per i procedimenti diversi da quelli penali la materia è di approccio a volte complesso, per svariate ragioni, anche perchè le norme sono in continua evoluzione.
Innanzitutto le fonti.
Il D.P.R. 115 del 30.5.02 (c.d. Testo unico sulle spese di giustizia) ha dedicato una sua parte, il titolo IV per l’esattezza, alle “Disposizioni particolari sul patrocinio a spese dello Stato nel processo civile, amministrativo, contabile e tributario”.
Si è cercato da parte del legislatore di introdurre una prima, ma non certo esaustiva, regolamentazione del patrocinio a spese dello Stato in tutti questi diversi tipi di procedimenti, nel contempo abrogando, o comunque superando, svariate norme succedutesi nei decenni precedenti (il Regio decreto n. 3282 del 30.12.23; la normativa sul gratuito patrocinio nelle controversie di lavoro e previdenza contenute nella Legge n. 533/73, introduttiva del processo del lavoro; gran parte della Legge 217/90; ecc).
E’ evidente però che tale (importante) obiettivo non può considerarsi compiutamente raggiunto con la redazione solamente di circa 25 articoli di legge.
Il Titolo IV del D.P.R. 115/02 ha il merito di aver introdotto svariate novità, in particolare in riferimento a svariati giudizi per i quali in precedenza la legge nulla prevedeva.
Ma è ancora poco.
Siamo di fronte ad un quadro normativo che se da una parte offre una prima importante regolamentazione, dall’altra risulta ancora incompleto.
Vanno in ogni caso evidenziati alcuni specifici profili molto utili per chi si trova ad affrontare giudizi non penali nei quali il proprio assistito possa beneficiare del patrocinio a spese dello Stato.
In via esemplificativa appare opportuno segnalare, oltre al processo civile ed amministrativo in generale, i giudizi in cui è parte uno straniero extracomunitario (norma che si integra co nquella già prevista per i giudizi di impugnazione delle ordinanze prefettizie di espulsione ex art. 13 D. Lgs. 286/98); i giudizi in cui è parte un ente o una organizzazione senza scopo di lucro, i processi previsti dalla legge n. 184 del 1983; quelli in cui è parte un fallimento, quelli di interdizione ed inabilitazione ad istanza del P.M., il processo tributario, ed altri.
Come detto si tratta di una disciplina non propriamente organica e in parte incompleta (ad esempio, rimanendo agli ultimi casi elencati, il T.U. non prevede il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno; oppure, l’art. 144 parla di “processo in cui è parte un fallimento”, ma nulla dice delle altre procedure concorsuali; vi sono poi previsioni di patrocinio a spese dello Stato contenute anche in altre fonti di legge, vedasi da ultimo l’art. 17 comma 5 del D. Lgs. 28/2010 in tema di mediazione; ecc.)
Anche dal punto di vista delle disciplina procedurale le norme in esame, se da una parte rappresentano un significativo tentativo di disciplinare l’esercizio concreto dell’accesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, dall’altro appaiono in una certa misura incomplete o comunque insufficienti, tanti e tali sono i possibili risvolti e problemi che la materia prospetta, con conseguenti innumerevoli e differenti prassi ed interpretazioni giurisprudenziali.
Meritano quindi di essere menzionate alcune integrazioni legislative.
In primo luogo la legge finanziaria 2007 (Legge 27 dicembre 2006, n. 296) che ha disciplinato ex novo la procedura di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato nei giudizi amministrativi.
Inoltre l’art. 4 del D.L. 23.2.09 n. 11, che disciplina il patrocinio a spese dello Stato per l’azione civile promossa nell’ambito del procedimento penale nel quale si procede per taluni reati: “All’articolo 76 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115, dopo il comma 4 bis è aggiunto il seguente: < la persona offesa dai reati di cui agli articoli 609 bis, 609 quater e 609 octies del codice penale può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto>”.
Infine l’art. 12 ter del D.L. n. 92/08 che ha introdotto il comma 4bis dell’art. 76 del Testo unico, estendendo quindi – almeno da quanto può apparire ad una prima interpretazione letterale – anche ai giudizi civili ed amministrativi la condizione ostativa dell’aver ricevuto una condanna penale per il reati ex art. 416 bis c.p., 291 quater d.p.r. 43/73, 73 (limitatamente alle ipotesi aggravate ex art. 80 e 74 comma 1) d.p.r. 309/90, nonché per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo.
Per tutti i soggetti condannati per tali reati “il reddito si ritiene superiore ai limiti previsti”.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 139 del 14.4.2010, ha poi dichiarato incostituzionale la norma nella parte in cui, stabilendo che per i soggetti già condannati con sentenza definitiva per i reati indicati nella stessa il reddito si ritiene comunque superiore ai limiti previsti per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non ammette la prova contraria.
Appare evidente che le ultime due disposizioni, seppure in direzioni opposte, rappresentanno un importante indirizzo che si potrebbe riassumere così: il beneficio del patrocinio a spese dello Stato – in determinati specifici casi ritenuti di eccezionale rilevanza – può essere accordato (o negato) anche a prescindere dai limiti di reddito del soggetto interessato.
La circostanza, se rappresenta una novità per l’Italia, non lo è in altri Stati; ad esempio in Francia tale principio è già stato codificato («L’aide juridictionelle peut etre accordée à titre exceptionnel aux personnes pas les conditions fixées a l’alinéa précédent lorsque leur situation apparaît particulièrement digne d’intéret au regard de l’objet du litige ou des charges prévisibles du procès»).
E’ questo il possibile futuro sviluppo della materia: la introduzione di strumenti normativi atti a rendere meno rigido il criterio del c.d. “tetto reddituale”, autorizzando invece una analisi più concreta e ragionata, caso per caso, delle domande di ammissione.
Tale principio, oltre che nelle recenti norme nazionali sopra indicate, è contenuto altresì nella Direttiva 2002/8/CE del 27.1.2003 (recepita integralmente nel nostro ordinamento con il Decreto Legislativo n. 116 del 27.5.2005) in tema di controversie transfrontaliere (ossia le controversie “in cui la parte che chiede il patrocinio a spese dello Stato … è domiciliata o dimora abitualmente in uno stato membro diverso da quello del foro o in cui la sentenza deve essere eseguita”).
Ebbene l’articolo 5 comma 4 della Direttiva (art. 4 comma 4 nel Decreto Legislativo di recepimento) recita “I limiti [reddituali n.d.r.] fissati dai commi 1 e 2 non ostano a che il patrocinio a spese dello Stato sia accordato al richiedente che supera il limite se egli dimostra di non poter sostenere le spese processuali di cui all’art. 6 comma 2, a causa della differenza del costo della vita tra lo Stato membro del domicilio o della dimora abituale e quello del foro”.
In questo senso, de iure condendo, è importante una riflessione sulla opportunità di introdurre, al posto dell’attuale limite reddituale, unico e immodificabile, una serie di scaglioni di reddito, che consentano una applicazione più elastica e graduale del patrocinio, introducendo dei benefici economici, seppure ridotti, per scaglioni di reddito superiori al limite attualmente previsto dalla legge.
La norma comunitaria cui si accennava poco sopra ha introdotto altre importanti novità, rendendo ammissibile il patrocinio a spese dello Stato anche per la fase della consulenza, e per l’attività stragiudiziale.
In questo senso si segnalano delle prime importanti aperture (ad esempio da parte del Tribunale di Firenze) nel senso di consentire il beneficio del patrocinio a spese dello Stato per fasi antecedenti al giudizio, soprattutto laddove queste consistano in passaggi fondamentali ai fini del giudizio, ad esempio nel caso di procedimento di mediazione obbligatoria.
Importante elaborazione della normativa è anche il recente decreto governativo del 2015 che consente agli avvocati la compensazione con debiti fiscali dei crediti verso lo Stato per compensi professionali per patrocinio a spese dello Stato.
Il lavoro del legislatore e degli operatori del diritto sempre più dovrebbe tendere verso la creazione di una disciplina organica ed esaustiva, senza comunque mai perdere di vista l’obiettivo principale che sottende tutta la normativa, la piena applicazione dell’art. 24 comma 3 della Costituzione (“Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”).
In questo senso di recente il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna ha formulato delle impostati linee guida che di seguito si riportano.
In premessa il Consiglio ribadisce che “il patrocinio a spese dello Stato trova il suo fondamento normativo nel Testo Unico in materia di spese di giustizia (d.p.r. n. 115/2002, articoli da 74 a 141).
È finalizzato all’attuazione dell’art. 24 della Costituzione e a garantire l’accesso al diritto di difesa a persone non in grado di munirsi autonomamente del patrocinio di un avvocato per l’incapacità reddituale di sostenerne il costo; garantisce pertanto il diritto di farsi assistere da un avvocato, iscritto in apposite liste e il cui compenso è a carico dello Stato, a coloro che, non avendo mezzi adeguati, versino in condizioni economiche precarie e non possano pertanto provvedere in maniera autonoma al pagamento delle spese giudiziali.
È previsto per i processi civili, amministrativi e tributari.”
Si passa poi alle maggiori problematiche registrate di recente
Il requisito del reddito.
Il limite reddittuale per accedere al patrocinio a spese dello Stato è, attualmente, di € 11.528,41.
Per il calcolo del reddito e per ogni ulteriore approfondimento al riguardo si rimanda al sito del Ministero della Giustizia (www.giustizia.it/giustizia/it/mg_3_7_2.wp).
Nella determinazione del reddito occorre sommare, tenendosi conto anche dei redditi esenti da Irpef o soggetti a ritenuta alla fonte o ad imposta sostitutiva, tutti i redditi del nucleo familiare, salvi i casi di esclusione dal cumulo: ai sensi dell’art. 76 del d.p.r. n. 115/2002, si tiene conto del solo reddito personale quando oggetto della causa sono diritti della personalità, oppure per i processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti del nucleo familiare con lui conviventi.
Per i redditi del soggetto extracomunitario prodotti all’estero occorre produrre apposita certificazione dell’autorità consolare, che attesti la veridicità della dichiarazione del reddito indicato o, in mancanza, apposita autocertificazione.
Il contenuto dell’istanza.
L’istanza, da presentarsi a cura della parte o del difensore, deve contenere:
a) la sintetica elencazione dei motivi della domanda giudiziale, per la valutazione della sua “non manifesta infondatezza”; a titolo esemplificativo e non tassativo, la manifesta infondatezza verrà rilevata sulla base dei seguenti criteri:
– manifesto difetto di legittimazione attiva del richiedente o passiva del soggetto nei confronti del quale l’istante ha proposto o intende proporre l’azione;
– decorrenza dei termini per la proposizione dell’azione (prescrizione o decadenza);
– in caso di procedure esecutive, mancata indicazione dei beni o dei crediti sui quali si intende soddisfare il credito;
– mancata indicazione dei fatti posti a fondamento dell’azione che la parte intende
proporre;
b) la specifica indicazione dei termini per la proposizione della domanda giudiziale, al fine di consentire l’individuazione dei termini di prescrizione e decadenza della stessa;
c) l’allegazione dei seguenti documenti:
1. l’autocertificazione dello stato di famiglia;
2. la fotocopia del documento d’identità o del permesso di soggiorno;
3. nel caso di procedimenti già pendenti, di impugnazioni, reclami o costituzioni in giudizio,la copia degli atti di causa, delle pronunce o dei provvedimenti resi, del titolo esecutivo e del numero di ruolo;
la copia di tutti i documenti utili alla valutazione della non manifesta infondatezza della domanda giudiziale;
4. la copia (a seconda dei casi) della dichiarazione dei redditi, del CUD, del certificato di disoccupazione, delle attestazioni INPS o simili dei redditi da pensione, della certificazione ISEE del nucleo familiare convivente dal quale emerga il reddito complessivo dello stesso;
5. la copia di una eventuale precedente delibera di ammissione al patrocinio a spese dello Stato; si fa presente che, una volta ottenuta l’ammissione per un giudizio in primo grado, non è necessaria una nuova istanza di ammissione qualora il provvedimento ottenuto sia favorevole al beneficiario.
Come quello di Bologna anche altri Consigli hanno elaborato propri approfondimenti ed elaborazioni di prassi, a testimonianza di quanto per gli avvocati il tema sia sentito, e ciò vale non solo per i più giovani, ma per l’intera categoria, che costantemente dimostra grande sensibilità ed attenzione verso il tema dell’accesso alla giustizia delle persone meno abbienti.