Questa volta al Tribunale di Bologna è toccato un compito non facile: coordinare la legge 40 del 2004 sulla procreazione medicalmente assistita con la ricostruzione del consenso di un uomo oramai deceduto.
Il singolare caso presentato all’attenzione del giudice ha visto come protagonista una donna cinquantenne, la quale ha chiesto che le venissero impiantati gli embrioni del marito – morto nel 2011 – che erano stati crioconservati quando la coppia aveva tentato – invano – la strada della fecondazione medicalmente assistita. La coppia aveva tentato per anni la procedura, rinnovando il consenso ogni anno fino al 2010, ossia fino all’ultimo anno di vita del marito. A causa della delicatezza del caso (non nascerebbe un bambino semplicemente orfano, ma il genitore risulterebbe premorto addirittura quattro anni prima della sua nascita) il policlinico cui si era rivolta la donna e il Tribunale in prima battuta, negarono tale possibilità alla richiedente.
La donna, però, non si arrese e presentò, vincendolo, un reclamo.
Secondo il giudice felsineo, anche se l’ultima dichiarazione del 2010 del marito non si può considerare un “valido consenso” costituisce però “una manifestazione di volontà idonea ad escludere che gli embrioni siano in stato di abbandono”. E per la legge n. 40 del 2004 in caso di embrioni crioconservati, ma non abbandonati, la donna ha sempre il diritto di ottenere il trasferimento.
Inoltre il giudice ha ritenuto che, data l’età non più giovane (per l’eventuale gravidanza)della donna e la aleatorietà dei risultati non si può attendere l’ esito di un eventuale procedimento civile ordinario.
Così, tribunale di Bologna, accogliendo il ricorso, ha dato il via libera all’impianto degli embrioni del defunto marito che erano stati congelati e, in base al suddetto provvedimento, il policlinico non potrà non conformarsi.