La Corte Costituzionale con sentenza del 11.2.2014 ha dichiarato incostituzionale le così detta legge “Fini – Giovanardi” in materia di lotta al traffico di droga e tossicodipendenze.
Era una sentenza da tempo attesa e da molti auspicata.
Citiamo direttamente uno dei primi commenti, tratto da Il Fatto quotidiano.
“La Fini-Giovanardi è incostituzionale. Parola della Consulta, che ha bocciato la legge che, dal 2006, equipara le droghe leggere a quelle pesanti. “Non dico niente finché non vedo i nostri consulenti giuridici”. E’ laconico il primo commento di Carlo Giovanardi al pronunciamento della Consulta che ha dato il benservito alla normativa sulle tossicodipendenze. Poi, nel giro di pochi minuti, cambia idea: “I giudici scavalcano il Parlamento”. Anche Maurizio Gasparri la prende male:
“La Corte costituzionale non è un organo di garanzia ma di demolizione”. Gioia invece dalla galassia antiproibizionista con Stefano Anastasia, ex presidente dell’Associazione Antigone sui diritti dei detenuti, che parla di “decisione storica”. Ma cosa cambia ora e soprattutto quali saranno gli effetti della sentenza sul mondo del carcere?
Nonostante la bocciatura della Fini-Giovanardi del 2006 sia per ragioni tecnico-formali e cioè, secondo i giureconsulti, l’inserimento nel testo di emendamenti estranei all’oggetto e alle finalità del decreto, la decisione è di portata storica. Sì, perché ora si dovrà tornare alla normativa precedente e cioè alla Craxi-Jervolino-Vassalli del 1990: una legge definita ai tempi talmente criminogena e liberticida che nel 1993 un referendum l’abrogò in parte alleggerendo le pene per i consumatori di droghe leggere.
Ed è proprio questo il punto, perché la Fini-Giovanardi equiparava le droghe pesanti con quelle leggere, introducendo come spartiacque fra detenzione e spaccio la dose massima consentita, un quid di illecito oltre il quale per la legge si diventava automaticamente dei pusher anche se semplici consumatori. La legge che porta il nome del senatore del Nuovo centrodestra, poi, inaspriva le condanne prevedendo una pena massima fino a 20 anni anche per il solo possesso di hashish e marijuana. Ora si torna al referendum del 1993 e quindi a un trattamento penale differenziato tra droghe pesanti e leggere e i condannati per quest’ultime non rischieranno pene superiori ai sei anni. A fare i conti su come questa decisione influirà sulla popolazione carceraria è Patrizio Gonnella, attuale numero uno di Antigone, che sottolinea gli effetti sul sovraffollamentonelle patrie galere: “24mila persone, il 40 per cento del totale, sono recluse per imputazioni che riguardano una normativa dichiarata illegittima. A chi è in custodia cautelare si applicheranno le norme previste dalla Jervolino-Vassalli, mentre i condannati definitivi potranno richiedere il ricalcolo della pena per incidente di esecuzione”.
Come sottolinea il capo del Dipartimento politiche antidroga di Palazzo Chigi, Giovanni Serpelloni ora bisognerà ridefinire le norme perché “la realtà è profondamente cambiata” dagli Anni ’90: “La Jervolino-Vassalli è stata fatta quando c’erano certe droghe che non esistono praticamente più, quando la percentuale di Thc (il principio attivo, ndr) nella cannabis era del 5 per cento mentre oggi siamo arrivati al 55. E soprattutto per l’arrivo sul mercato di nuove droghe sintetiche che ai tempi non esistevano”. Una posizione condivisa anche dal fronte antiproibizionista che però avvisa come il nuovo testo non dovrà essere ideologico e punitivo come quello fino a oggi in vigore. “Per fare ciò – avverte Gonnella – si ascoltino le famiglie, gli operatori e le comunità. Si dia voce a chi da tempo ricorda il contributo negativo dato dalla Fini-Giovanardi al sovraffollamento carcerario”.