Il Tribunale di Monza con l’ordinanza del 19.02.2014 si è pronunciato in merito ad un licenziamento per giusta causa irrogato perché il lavoratore aveva criticato con toni accesi l’operato della società, presso la quale lavorava, in occasione della consegna di un richiamo scritto.
Il Giudice ha escluso la sussistenza della giusta causa del licenziamento, non trattandosi di un comportamento talmente grave da ledere il rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro.
L’art. 2104 c.c., infatti, prevede l’obbligo di diligenza e obbedienza in capo al lavoratore, la cui violazione costituisce insubordinazione.
Secondo il Giudice “l’insubordinazione si estrinseca in comportamenti del lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro, o dei propri superiori gerarchici, tali da costituire una grave infrazione alla disciplina”, tra i quali secondo la giurisprudenza possono essere ricomprese anche le ingiurie, le minacce, le percosse.
Tuttavia, fermo restando il divieto di questi comportamenti, il lavoratore conserva nei confronti del datore di lavoro un diritto di critica, da esercitarsi nell’ambito della correttezza formale e sostanziale.
Alla luce di questa impostazione, il Giudice ha escluso che nel caso di specie il lavoratore abbia travalicato l’ambito della correttezza formale e sostanziale nell’esercizio del suo diritto di critica, ma si è trattata di un’insubordinazione lieve tale da non ledere il vincolo fiduciario con il datore di lavoro, da punire con una sanzione disciplinare conservativa.
Pertanto, trattandosi di un’azienda con più di 15 dipendenti e dovendosi applicare la tutela di cui all’art. 18, l 300/1970, il Giudice ha dichiarato illegittimo il licenziamento ai sensi dell’art. 18, comma 4, condannando il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore e al pagamento di un’indennità risarcitoria pari alla retribuzione maturata dalla data del licenziamento e fino all’effettiva reintegra.