Dal trattato “Dei doveri“, composto nell’autunno del 44 A.C., riportiamo il Capitolo III del libro II dal titolo “L’utile è inseparabile dall’onesto”.
“Una compiuta trattazione del dovere implica, come ho detto al principio dell’opera, l’esame di cinque questioni, due delle quali riguardano il decoro e l’onestà, due le comodità della vita, gli agi, la potenza, gli averi, e una, la quinta, contempla una giudiziosa scelta nel caso che i sopra detti principi sembrino contrastare fra loro. Ebbene, la parte dell’onestà, quella appunto che io desidero ti sia scolpita nell’animo, è del tutto terminata.
L’argomento, del quale ora trattiamo, è per l’appunto quel principio che si chiama l’utile. E, a proposito di questo vocabolo, il parlar comune, sdrucciolando, deviò dal retto sentiero, e a poco a poco discese a tal punto che, separando l’onesto dall’utile, stabilì esservi cose oneste che non sono utili, e cose utili che non sono oneste; che è la più gran disgrazia che potesse capitare alla vita umana. E’ vero che filosofi di grande autorità, a stretto rigor di logica e in perfetta buona fede, distinguono in astratto questi tre momenti, i quali, nella concreta realtà, sono tra loro intimamente congiunti. In verità, essi credono che tutto ciò che è giusto, sia anche utile, e, allo stesso modo, ciò che è onesto, sia anche giusto; onde segue che, tutto ciò che è onesto, è anche utile. Ma coloro che non iscorgono il carattere puramente teorico di questa distinzione, ammirando uomini astuti e scaltri, scambiano spesso la malizia per la saggezza. Ora, bisogna estirpare dalle loro menti quest’errore, e rivolgere ogni loro pensiero alla speranza e alla certezza che essi potranno conseguire il loro intento, non con la frode e la malizia, ma con onesti propositi e con virtuose azioni”.
“Quinque igitur rationibus propositis officii persequendi, quarum duae ad decus honestatemque pertinerent, duae ad commoda vitae, copias, opes, facultates, quinta ad eligendi iudicium, si quando ea, quae dixi, pugnare inter se viderentur, honestatis pars confecta est, quam quidem tibi cupio esse notissimam.
Hoc autem de quo nunc agimus, id ipsum est, quod utile appellatur. In quo verbo lapsa consuetudo deflexit de via sensimque eo deducta est, ut honestatem ab utilitate secernens constitueret esse honestum aliquid, quod utile non esset, et utile, quod non honestum, qua nulla pernicies maior hominum vitae potuit afferri. Summa quidem auctoritate philosophi severe sane atque honeste haec tria genera confusa cogitatione distinguunt: quicquid enim iustum sit, id etiam utile esse censent, itemque quod honestum, idem iustum, ex quo efficitur, ut, quicquid honestum sit, idem sit utile. Quod qui parum perspiciunt, ii saepe versutos homines et callidos admirantes, malitiam sapientiam iudicant. Quorum error eripiendus est opinioque omnis ad eam spem traducenda, ut honestis consiliis iustisque factis, non fraude et malitia se intellegant ea, quae velint, consequi posse”.
Il testo in latino e la traduzione sono tratti dalla bellissima collana i Prosatori di Roma, pubblicata dalla casa editrice Zanichelli di Bologna, edizione VII del 1969, curata e tradotta da Dario Arfelli, pagg. 167-169.