Con la sentenza n. 48 del 2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen., è applicata custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, rispetto al concorrente esterno nel suddetto delitto, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. La norma in questione, infatti, violerebbe gli artt. 3, 13 e 27, 2° co., Cost.
La questione di legittimità era stata sollevata dal G.I.P. in merito a un procedimento a carico di un soggetto accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo la ricostruzione effettuata dal giudice, infatti, l’indagato aveva messo, in più occasioni, a disposizione del sodalizio criminoso le proprie cognizioni tecniche e le proprie apparecchiature, idonee all’individuazione di microspie, apparati di localizzazione satellitare e telecamere, collocati dalla polizia giudiziaria nei luoghi in cui i membri dell’organizzazione erano soliti incontrarsi al fine di captarne le comunicazioni.
Secondo il giudice rimettente, le esigenze cautelari per applicare la misura di sicurezza non erano venute meno, in considerazione della perdurante operatività dell’associazione e dei legami che l’indagato avrebbe dimostrato di avere con i suoi membri. Tuttavia tali esigenze potevano essere adeguatamente soddisfatte anche con la misura meno gravosa degli arresti domiciliari, in considerazione del ruolo di semplice concorrente esterno dell’interessato, che non implicherebbe l’appartenenza al sodalizio. La misura degli arresti domiciliari risulterebbe, in particolare, idonea a fronteggiare il pericolo di reiterazione di fatti del genere di quelli per i quali si procede, dovendosi escludere che l’indagato – una volta ristretto nella propria abitazione – possa mettere nuovamente a disposizione dell’associazione criminosa le proprie capacità tecniche.
All’accoglimento dell’istanza osterebbe, tuttavia, proprio l’art. 275, comma 3, secondo periodo, del codice di procedura penale, che impone di applicare la custodia cautelare in carcere nei confronti della persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza per il delitto previsto dall’art. 416-bis cod. pen., salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.
Il G.I.P. richiama la sentenza n. 57 del 2013, con la quale la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma censurata, nella parte in cui stabilisce una presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere nei confronti della persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza in ordine a delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen., in quanto le stesse considerazioni varrebbero ragionevolmente anche in rapporto all’ipotesi del concorso esterno nell’associazione mafiosa, posto che il ruolo di concorrente esterno è anche meno incisivo di quello dell’appartenente stabilmente all’associazione, perché il concorrente esterno è un soggetto che non fa parte dell’associazione e che l’associazione non chiama a far parte, ma che fornisce un contributo apprezzabile al sodalizio.