In generale la “prescrizione” dei diritti è disciplinata dagli articoli 2934 e seguenti del Codice civile (Art. 2934 c.c.: “Estinzione dei diritti. Ogni diritto si estingue per prescrizione quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge. Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge”)
Per quanto riguarda in particolare i diritti nascenti dal rapporto di lavoro dipendente valgono le seguenti regole.
Per i diritti del lavoratore di carattere non retributivo (ad esempio il diritto al risarcimento del danno, o all’inquadramento in una categoria superiore), vale la prescrizione ordinaria, ossia il diritto si estingue se non esercitato nel termine di 10 anni da quando può essere fatto valere (Art. 2946 c.c.: “Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni.”)
Per tutti i diritti di credito con cadenza periodica, come ad esempio la retribuzione, così come per il trattamento di fine rapporto, si applica la prescrizione di 5 anni.
Per le retribuzioni corrisposte per un periodo non superiore ad un mese vale la prescrizione di 1 anno.
In tema di diritto del lavoro va tenuta presente una particolarità di grande importanza.
Come detto il termine di prescrizione in generale inizia a decorrere dal momento in cui il diritto “può essere fatto valere”.
Orbene, la giurisprudenza, anche sulla base di una importante – e antica – sentenza della Corte Costituzionale (la n. 63 del 1966), opera una fondamentale distinzione, che di seguito si spiega.
Il termine di prescrizione inizia a decorrere mano a mano che i crediti maturano, e quindi anche nel corso del rapporto di lavoro, solo per i lavoratori che godono della cosiddetta “stabilità reale”, ossia che sono tutelati dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, che prevede, a fronte di un licenziamento illegittimo, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, con corresponsione di tutte le retribuzioni non percepite dal momento del licenziamento sino alla effettiva ripresa del lavoro.
Invece per i lavoratori tutelati, a fronte di un licenziamento illegittimo, solo con la cosiddetta “tutela obbligatoria”, che lascia cioè al datore di lavoro la possibilità di esercitare l’opzione tra la riassunzione (quindi non la reintegrazione, ma la instaurazione di un nuovo rapporto di lavoro, con perdita comunque da parte del lavoratore delle retribuzioni non percepite) ed il pagamento di una indennità sostitutiva della riassunzione stessa, per tali lavoratori il termine di prescrizione, anche di diritti maturati in corso di rapporto, decorre comunque solo dal momento della risoluzione del rapporto di lavoro (operando quindi in tal senso in maniera più favorevole per questa categoria di dipendenti).
Il significato di questa distinzione appare chiaro: il lavoratore maggiormente tutelato ha – in teoria – un minore timore a far valere nel corso del rapporto di lavoro i propri diritti, poiché più difficilmente licenziabile; invece il lavoratore meno tutelato dal punto di vista dei rimedi al licenziamento ingiusto, soggiace ad un ipotetico potere di ricatto del datore di lavoro, in quanto soggetto ad un possibile licenziamento ritorsivo (o comunque alla ipotetica moinaccia implicita dello stesso) a fronte di rivendicazioni salariali o di altra natura, dato che anche se tale licenziamento (ovviamente motivato in modo da non apparire discriminatorio, ad esempio come licenziamento per giustificato motivo oggettivo) fosse dichiarato illegittimo, il massimo di sanzione cui il datore di lavoro potrebbe andare incontro sarebbe una (tenue) sanzione di carattere economico, ossia l’indennità pari ad un importo da 2,5 a 6 mensilità retributive, in luogo della riassunzione.
Ma ora le cose potrebbero cambiare.
Fino al 2012 la c.d. “stabilità reale” del rapporto di lavoro era assicurata dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, nei termini che sopra si sono indicati.
Qualunque lavoratore che appartenesse ad aziende che impiegavano oltre 15 dipendenti era tutelato da tale norma, che – come spiegato – a fronte di un licenziamento illegittimo prevedeva il pagamento delle retribuzioni non percepite e la reintegrazione del rapporto di lavoro, in totale continuità con il rapporto precedente il licenziamento.
Ora, con la entrata in vigore della legge 92 del 2012, che ha modificato l’art. 18 S.L., i rimedi di fronte ad un licenziamento illegittimo irrogato nell’ambito di quella che prima veniva considerato l’area della tutela reale (aziende con più di 15 dipendenti) non sono più solo e tanto di carattere ripristinatorio, ma anche, in diversi casi, di carattere meramente economico, quindi con una sostanziale equiparazione all’area di c.d. tutela obbligatoria (che come detto prevede la decorrenza dei termini di prescrizione solo dalla risoluzione del rapporto di lavoro).
Detto questo, sarà interessante nel prossimo futuro comprendere se e come la differenziazione della decorrenza del termine di prescrizione, oramai da decenni consacrata nel nostro ordinamento, seppure per via giurisprudenziale, potrà eventualmente mutare a fronte della entrata in vigore della Riforma Fornero, che ha fortemente modificato il contenuto dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, rendendo residuali le ipotesi di c.d. tutela reale, a fronte di un ampliamento della c.d. tutela obbligatoria ed esclusivamente economica.
Si arriverà – questa è la domanda che ci poniamo – a prevedere la decorrenza del termine di prescrizione a partire dalla risoluzione del rapporto di lavoro (anziché nel corso dello stesso, mano a mano che sorgono i diritti) per tutti i lavoratori, a prescindere dal fatto che agli stessi si applichi o meno l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori ?