L’arbitrato è un mezzo privato di risoluzione delle controversie previsto dal nostro ordinamento come alternativa al normale ricorso all’autorità giudiziaria.

Con i procedimento dell’arbitrato dei privati cittadini, chiamati “arbitri”, vengono nominati di comune accordo dalle parti in conflitto per risolvere una controversia.

Questa viene risolta dall’arbitro attraverso un provvedimento, detto lodo che non è un atto processuale bensì un negozio di diritto privato che produce effetti analoghi a quelli della sentenza emanata dal giudice, ponendo quindi termine alla lite e regolando i rapporti tra le parti.

I presupposti per il giudizio arbitrale

  1. La “disponibilità” del diritto oggetto di controversia, unico limite normativo all’utilizzo dello strumento arbitrale, introdotto con il D. Lgs. n. 40/2006 .

Quindi non tutti i diritti sono assoggettabili a transazione, ma piuttosto che non possono essere oggetto di transazione i diritti indisponibili.

  1. Attribuzione agli arbitri del potere di giudicare. Questo potere è deciso dalle parti mediante un negozio giuridico che prende il nome di Convenzione di arbitrato. Il principio fondamentale che sta alla base della Convenzione è la libertà negoziale dei privati. Così come i privati possono, nei limiti posti dall’ordinamento giuridico, dare il contenuto che meglio credono ai loro rapporti contrattuali quando trattano di propri diritti disponibili, così altrettanto liberamente possono, in caso di controversie inerenti a diritti disponibili, rinunciare ad essi, in tutto o in parte mediante transazione, oppure affidare la risoluzione delle questioni controverse, anziché alla giurisdizione dello Stato, ad arbitri scelti da loro stessi.

  1. L’accordo tra le parti. Esso si può manifestare in due diverse modalità:

  • il “compromesso”, con il quale le parti regolano lo svolgimento dell’arbitrato per la soluzione di una controversia già in essere. Il compromesso, in altre parole, ha ad oggetto un diritto già individuato dalle parti in conflitto, e per questo, la forma scritta è prevista a pena di nullità.

  • la “clausola compromissoria”, ovvero la clausola inserita nel contratto che stipulano le parti, oppure in atto separato, che ha come oggetto le eventuali liti future relative al contratto medesimo anche di natura non contrattuale contenente la volontà di devolvere ad un arbitro dette controversie. La clausola compromissoria ha una propria autonomia giuridica in quanto mantiene la propria validità anche in caso di invalidità del contratto principale a cui accede.

La principale differenza tra compromesso e clausola è determinata dal fatto che il primo viene stipulato per dirimere una controversia già sorta, mentre con la seconda si stabilisce in via preventiva e può essere quindi solo eventuale. Risulta da ciò evidente come nella clausola compromissoria non sia necessario indicare specificamente l’oggetto della controversia, che sarà solo determinabile, stante l’impossibilità di definirlo prima dell’insorgenza della lite.

Arbitrato rituale e irrituale

Nel nostro ordinamento si distinguono due forme di arbitrato:

  1. l’arbitrato rituale, disciplinato dal codice di procedura civile (artt. 806-832);

  1. l’arbitrato irrituale, rimesso dall’ordinamento all’autonomia negoziale delle parti o disciplinato dal legislatore in altre norme: ad esempio nell’ambito del diritto del lavoro gli artt. 412, 412 ter e quater del c.p.c. L’arbitrato irrituale, stabilisce che la controversia può essere definita dagli arbitri con una decisione destinata ad acquistare tra le parti esclusivamente valenza negoziale o contrattuale e che le parti si impegnano ad accettare, riconoscendola come espressione diretta della loro volontà, quindi permettendo anche una maggiore libertà decisionale delle parti stesse.


In entrambe le forme di arbitrato la funzione è unica e consiste nella decisione della controversia, ovvero le parti vogliono far valere i loro diritti attraverso l’arbitrato. Sia nel lodo rituale che irrituale, per poter accedere al procedimento arbitrale è necessario che le parti prestino il proprio consenso in una convenzione arbitrale, che deve avere forma scritta ad substantiam, e la scelta tra le due fattispecie deve emergere espressamente dall’accordo delle parti.

E’ prevista una clausola di salvezza : nel dubbi l’arbitrato deve qualificarsi come rituale (art. 808 ter cpc)

La differenza tra le due forme di arbitrato :

  1. Ai sensi dell’art. 824 bis c.p.c. il lodo rituale produce gli stessi effetti della sentenza pronunciata da un giudice togato. In caso di inadempimento, il lodo arbitrale può essere depositato nella cancelleria del tribunale del luogo in cui è stato pronunciato e può essere chiesto al giudice che con proprio decreto conferisca efficacia esecutiva alla decisione arbitrale, il c.d. “exequatur”. Nel caso di lodo irrituale, invece, la parte vittoriosa, se vuole ottenere un titolo esecutivo, in caso di mancato spontaneo adempimento della parte soccombente, deve ricorrere all’autorità giudiziaria e procurarselo con un decreto ingiuntivo o con una sentenza, a seguito di un giudizio ordinario

  1. I due arbitrati divergono anche per quanto riguarda il regime delle impugnazioni del lodo. Mentre l’impugnazione per nullità del lodo rituale deve essere proposta davanti alla Corte d’Appello nel cui distretto ha sede l’arbitrato, secondo lo speciale procedimento previsto dagli artt. 828 e ss. c.p.c., il Giudice competente a decidere della domanda di impugnativa del lodo irrituale, per i motivi di cui all’art. 808-ter, è il Tribunale del luogo di pronuncia del lodo. L’impugnazione si propone con atto di citazione nei confronti delle controparti in arbitrato.

Arbitrato nel diritto del lavoro

Oltre al procedimento giurisdizionale, nel diritto del lavoro vi sono quattro tipi di risoluzione alternativa delle liti

1. Risoluzione arbitrale della controversia (art. 412 c.p.c.)

Secondo l’art. 410 del codice di procedura civile “Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall’articolo 409 può promuovere, anche tramite l’associazione sindacale alla quale aderisce o conferisce mandato, un previo tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all’articolo 413.”

Secondo il successivo art. 412, in qualunque fase del tentativo di conciliazione, anche al termine in caso di mancata riuscita, le parti possano accordarsi per risolvere in via arbitrale la controversia, affidando alla commissione di conciliazione il relativo mandato. Con il “mandato” con cui viene devoluta la lite in arbitrato le parti devono individuare:

  1. il termine per l’emanazione della decisione, in ogni caso non superiore ai sessanta giorni dal conferimento del mandato;

  2. le norme invocate dalle parti a sostegno delle loro pretese

  3. l’eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.

Le controversie aventi ad oggetto la validità del lodo art. 412 c.p.c., vanno proposte al giudice del lavoro in primo e unico grado.

Il lodo è impugnabile ai sensi dell’articolo 808-ter c.p.c. (disposizione in materia di arbitrato irrituale).

2. Altre modalità di conciliazione e arbitrato previste dalla contrattazione collettiva (art. 412-ter c.p.c.)

E’ poi possibile avvalersi dell’arbitrato presso le sedi sindacali, procedura che si svolge applicando le modalità previste dai contratti collettivi. Questo tipo di sindacato, non precisa e non pone limite alla possibilità di deferire ad arbitri la controversia pertanto tali modalità potranno così rinviare alla disciplina prevista per l’arbitrato rituale oppure a quella dell’arbitrato irrituale; o ancora a quella “ibrida” di cui all’art. 412 c.p.c. o dell’art. 412 quater c.p.c.

3. Altre modalità di conciliazione e arbitrato (art. 412-quater c.p.c.)

Le controversie possono inoltre essere proposte innanzi ad un Collegio di Conciliazione e arbitrato irritale costituito ad hoc.

Questa procedura prevede una serie di scansioni temporali e di attività molto precise: l’arbitro, nominato dal Collegio, provvede (assieme a quello del ricorrente) a designare il Presidente del collegio entro 30 giorni dalla notifica del ricorso; nei 30 giorni successivi alla scelta concorde del terzo arbitro la resistente deve depositare una memoria sottoscritta da un avvocato e contenente le difese, eccezioni, eventuali domande riconvenzionali e l’indicazione dei mezzi di prova; nei 10 giorni successivi il ricorrente può depositare una memoria di replica, e altrettanto potrà fare controparte nei 10 giorni ulteriori. Il collegio fissa quindi la data dell’udienza (che dovrà tenersi entro 30 giorni dal termine assegnato per la controreplica).

4. La clausola compromissoria

Essa sancisce la possibilità che lavoratore e datore di lavoro pattuiscano contrattualmente clausole compromissorie le quali rinviano alle modalità di espletamento dell’arbitrato o del primo o terzo modello di arbitrato sopra esaminati. La devoluzione preventiva delle controversie che dovessero insorgere tra le parti, con eventuale decisione d’equità, è presidiata da una duplice condizione. Da un lato la clausola compromissoria è ammissibile solo ove prevista dagli accordi interconfederali o dai contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro più rappresentative sul piano nazionale; La clausola, sottoscritta da entrambe le parti, deve essere certificata da una commissione di certificazione, che accerti l’effettiva volontà delle parti di delegare ad arbitri la risoluzione di controversie. La normativa esclude l’arbitrato per le liti che riguardano la risoluzione del contratto di lavoro, ossia dimissioni, licenziamenti, in tema di contributi previdenziali e sicurezza sul lavoro. Per ridurre l’inevitabile condizionamento cui la parte debole del rapporto contrattuale è sottoposta al momento della conclusione del contratto di lavoro, e così garantire la libera adesione delle parti alla clausola arbitrale, il legislatore ha previsto che la stessa non possa essere pattuita e sottoscritta prima della conclusione del periodo di prova, se previsto, ovvero se non siano trascorsi almeno 30 giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro. Per ciò che concerne il campo di applicazione è possibile ricorrere all’arbitrato in ogni rapporto di lavoro che rientri nelle materie disciplinate dall’articolo 409 c.p.c.