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Oggi riportiamo una importante analisi del provvedimento di legge all’esame del Parlamento sul c.d. “contratto a tutele crescenti”
“Il governo ha approvato lo schema del primo decreto attuativo del c.d. Jobs act (Legge n. 183/2014) riguardante il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, che passa pertanto all’esame delle Camere per il previsto parere (non vincolante) prima di essere adottato in via definitiva.
Il nuovo regime si applicherà esclusivamente alle nuove assunzioni di dipendenti privati (esclusi i dirigenti), quelle decorrenti dalla data di entrata in vigore del decreto dopo la sua definitiva approvazione da parte del Governo. Mentre la legge di stabilità, come si dà conto con altra news, prevede consistenti incentivi per le imprese che assumono con contratto di lavoro a tempo indeterminato, lo schema di decreto in esame interviene sulla disciplina relativa all’estinzione del medesimo rapporto di lavoro, modificando, ancora una volta, dopo la legge Fornero e sia pure soltanto per i nuovi assunti, le regole relative alle conseguenze di un licenziamento invalido. In particolare, la nuova disciplina prevede la reintegrazione e il risarcimento danni solo in caso di licenziamento discriminatorio, nullo o intimato in forma orale. Per quanto riguarda il licenziamento disciplinare, la reintegrazione è stabilita esclusivamente se risulti giudizialmente insussistente il fatto materiale contestato al lavoratore (ma in tal caso l’indennità risarcitoria non può superare le dodici mensilità di retribuzione), con esclusione della possibilità di valutare la proporzionalità della sanzione rispetto alla mancanza, ancorché questa sia lieve o lievissima. La regola della reintegrazione e di una indennità non superiore alle dodici mensilità vale anche in caso di insussistenza dell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore addotta a motivo del licenziamento. In tutti gli altri casi di licenziamento individuale ingiustificato o intimato in violazione delle procedure prescritte (ad es. in materia di licenziamento disciplinare), il rapporto si estingue comunque e al lavoratore è dovuta unicamente una indennità che oscilla tra le 4 e le 24 mensilità (da 2 a 12, se si tratta di violazione procedimentale), in rapporto alla durata del rapporto. E’ poi previsto che il datore di lavoro, per evitare il giudizio, possa fare un’offerta economica al lavoratore (da 2 a 18 mensilità di retribuzione, esenti da imposte e da contributi) e, se questi accetta, il rapporto di lavoro si estingue.
Quanto al licenziamento collettivo, solo quello comunicato oralmente (ma, deve ritenersi, anche quello discriminatorio o nullo) comporta la reintegrazione e il risarcimento danni integrale, mentre la violazione della relativa procedura e dei criteri di scelta non impedisce l’estinzione del rapporto e comporta unicamente l’erogazione di una indennità nella misura variabile da 4 a 24 mensilità.
Per le piccole imprese (meno di 16 dipendenti etc.) la reintegrazione, col risarcimento danni, è prevista solo in caso di licenziamento discriminatorio, nullo o in forma orale, mentre negli altri casi è dovuta solo un’indennità il cui ammontare è ridotto alla metà rispetto a quello prima indicato e non può superare le sei mensilità di retribuzione (anche in caso di accordo prima dell’eventuale giudizio).
Lo schema di decreto legislativo prevede altresì il finanziamento, a carico di un Fondo istituito presso l’INPS, di un contratto di ricollocazione che il lavoratore licenziato ingiustamente può stipulare con un’agenzia del lavoro pubblica o privata accreditata, per essere assistito nella ricerca di una nuova occupazione adeguata, verso il pagamento di un compenso (a carico del Fondo INPS) erogabile a risultato ottenuto.
Infine per i licenziamenti intimati nel nuovo regime, il decreto stabilisce che non è applicabile il procedimento speciale di cui alla legge Fornero, che tanti problemi interpretativi e pratici ha posto e pone tuttora ai giudici e alle parti. “