I licenziamenti collettivi illegittimi alla luce della L. 92/2012 e del D.lgs 23/2015

Il licenziamento collettivo è il fenomeno per il quale una impresa con più di 15 dipendenti, compresi i dirigenti, opera una riduzione significativa del personale in un contesto di crisi, a seguito di una ristrutturazione produttiva oppure in vista della chiusura definitiva dell’azienda.

Tale istituto, disciplinato dalla legge n. 223 del 1991, si realizza attraverso una complessa procedura che può essere attivata soltanto in presenza di condizioni stabilite dalla legge.

La disciplina prevede che l’impresa possa attivarsi in questo senso quando sta beneficiando di strumenti di integrazione salariale (la Cassa Integrazione guadagni) e ritiene di non essere in grado di garantire il reimpiego di tutti i lavoratori sospesi, e di non potere utilizzare misure alternative: in presenza di tali condizioni l’impresa può decidere di licenziare almeno 5 lavoratori nell’arco di 120 giorni in vista della cessazione dell’attività o di una ristrutturazione della produzione.

In questi casi l’impresa è tenuta ad attivare un procedimento (abbastanza complesso) che prevede la partecipazione anche delle organizzazioni sindacali.

Il procedimento finalizzato al licenziamento collettivo è strutturato attraverso diversi passaggi formali e sostanziali (la scelta dei lavoratori da licenziare), e questi diverse fasi debbono essere rispettate, pena l’illegittimità dei licenziamenti che, qualora dovesse essere dichiarata dal giudice, darebbe luogo a due distinti regimi di tutela, a seconda di quando il lavoratore coinvolto è stato assunto. Attualmente, infatti, viene operata una distinzione tra i lavoratori assunti sino al 6 marzo 2015, per i quali le norme di riferimento saranno la L. 223/91 e la L. 300/70, Statuto dei Lavoratori (così come modificate dalla L. 92/2012 c.d. Legge Fornero), ed i lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015, per i quali la normativa sarà quella dettata dal nuovo D.lgs. 4 marzo 2015 n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183).

Vediamo ora i diversi casi di possibile illegittimità della procedura ed i conseguenti rimedi previsti dalla legge.

In particolare, si prevede che: in caso di recesso intimato senza l’osservanza della forma scritta, la disciplina dettata dal regime sanzionatorio previsto dall’art. 10 del nuovo d.lgs 23/2015 rimane sostanzialmente immutata rispetto a quanto già previsto dal testo dell’articolo 18, comma 1, della legge n.300 del 1970 (ossia la reintegrazione nel posto di lavoro, risarcimento del danno e una indennità commisurata all’ultima retribuzione globale maturata dal momento del licenziamento all’effettiva reintegrazione, comunque non inferiore a 5 mensilità: si tratta della cosiddetta tutela reintegratoria piena.

Diverso il caso di recesso intimato violando i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità (criteri elencati dall’articolo 5 della legge n. 223 del 1991): in questa eventualità, per i lavoratori assunti sino al 6 marzo 2015, trova applicazione la tutela reale prevista testo dell’articolo 18, comma 4, della legge n.300 del 1970 (ossia la reintegrazione nel posto di lavoro e una indennità commisurata all’ultima retribuzione globale maturata dal momento del licenziamento all’effettiva reintegrazione, comunque non superiore a 12

mensilità), mentre per i lavoratori assunti successivamente a tale data si applica invece la normativa prevista dall’art. 3 del d. lgs 23/2015, ossia il giudice, una volta dichiarato estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento, condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità.

Nel caso invece di recesso intimato senza il rispetto della procedura sindacale prevista dall’articolo 4, comma 12, della legge n. 223 del 1991, trova applicazione, per i lavoratori assunti fino al 6 marzo 2015, la tutela prevista per i licenziamenti economici dal testo dell’articolo 18, comma 7, terzo periodo, della legge n.300 del 1970 (ossia indennità determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale); mentre per i lavoratori assunti successivamente al 6 marzo 2015, si applicherà, ancora una volta, la disciplina prevista dall’art 3 del D.lgs. 23/2015 sopra descritta.