IL LICENZIAMENTO E LA FIGURA PROFESSIONALE DEL DIRIGENTE IN AMBITO GIURIDICO
In ambito giuridico, oltre alla previsione dell’art. 2095 c.c. (“I prestatori di lavoro subordinato si distinguono in dirigenti, quadri, impiegati e operai”), non troviamo una puntuale definizione della posizione dirigenziale. Pertanto, è possibile sussumere le caratteristiche di questo incarico solo tramite i contratti collettivi e grazie alle sentenze giurisprudenziali che nel corso del tempo sono riuscite a fornirci progressivamente una descrizione sufficientemente completa di questa figura. Riferendoci, quindi, a queste fonti possiamo descrivere l’incarico di dirigente come l’opera prestata da un soggetto che si distingue notevolmente dal comune lavoratore subordinato per le mansioni, le prerogative e i poteri di cui è investito e per lo stretto vincolo fiduciario che lo lega al datore di lavoro e all’azienda.Un orientamento giurisprudenziale consolidato ha da tempo identificato come dirigente il lavoratore che si distingue dagli altri dipendenti in quanto assimilabile ad una sorta di alter ego dell’imprenditore e che, per i poteri d’iniziativa attribuitigli, caratterizzati da ampia discrezionalità e con responsabilità ad alto livello, risulta sottoposto unicamente alle direttive del datore di lavoro, essendo pertanto in grado di conferire un indirizzo al governo complessivo dell’azienda. Tuttavia di recente la giurisprudenza sta cambiando sensibilmente il proprio orientamento, prendendo in maggior considerazione le mansioni che vengono effettivamente svolte dal lavoratore, le sue capacità professionali e l’autonomia del suo operato, indipendentemente dal fatto che egli ricopra una posizione apicale all’interno dell’azienda. Ad ogni modo chiunque ricopra una posizione dirigenziale, qualora ponga in essere comportamenti negligenti o atteggiamenti non conformi all’incarico rivestito, può causare seri danni interni ed esterni all’azienda ed è proprio per questi motivi che la disciplina del licenziamento, riferita alla figura lavorativa in questione, appare molto meno rigida lasciando ampia discrezionalità al datore di lavoro nello sciogliemento del rapporto.La stessa legge n.604 del 1966 in materia di licenziamenti individuali, all’art. 10, non comprende la figura dirigenziale nel suo ambito di applicabilità, rendendo pertanto libera la recidibilità per questa categoria lavorativa.
IN QUALI CASI PUO’ ESSERE CONSIDERATO LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DI UN DIRIGENTE?
Come si è accenato, la tutela del dirigente in materia di licenziamento è alquanto fievole. Pertanto, il datore di lavoro, qualora non sia soddisfatto dell’operato di un proprio dirigente o non lo ritenga più idoneo alla gestione delle mansioni affidategli ai fini dello sviluppo dell’azienda, può decidere di recidere il rapporto lavorativo recedendo dal contratto senza addurre alcuna motivazione. E’ necessario tuttavia precisare che, ai sensi della legge n.108 del 1990, il licenziamento richiede ab substantiam la forma scritta e che la mancanza di tale forma preclude, senza eccezioni, l’efficacia dell’atto. Nonostante la sopracitata lacuna legislativa, una maggior tutela per la figura dirigenziale deriva dalla contrattazione collettiva in quanto impone perlopiù l’obbligo di motivazione anche in caso di licenziamento di un dirigente. Tuttavia l’unica conseguenza che deriva da un licenziamento ingiustificato, come accade per esempio nel caso dei dirigenti industriali e commerciali, è in realtà la corresponsione da parte del datore di lavoro della cosiddetta indennità supplementare, ovvero la corresponsione di una somma di denaro ulteriore rispetto alla già dovuta indennità sostituiva del preavviso. A meno che il licenziamento non venga riconosciuto come discriminatorio, e allora il dirigente avrà diritto ad essere reintegrato nel proprio posto di lavoro.
QUANDO UN DIRIGENTE VIENE LICENZIATO PER GIUSTA CAUSA?
L’art. 2119 del codice civile definisce la giusta causa di recesso dal rapporto di lavoro come il verificarsi di fatti talmente gravi da impedire “la prosecuzione,anche provvisoria, del rapporto”.Tale disciplina opera riferendosi ad ogni tipo di lavoratore, dipendente e non, sancendo il principio per cui in ogni caso dovrà essere considerato legittimo ogni licenziamento che verta sulla sussistenza di circostanze talmente gravi che hanno portato a recidere irrevocabilmente e irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e prestatore. E’ importante ricordare come questo caso sia, in realtà, l’unico che consenta al datore di lavoro di licenziare il lavoratore, anche qualora questo sia un dirigente, senza preavviso e senza il versamento di alcuna indennità.
QUALI POSSONO ESSERE LE ALTRE CAUSE CHE POSSONO GIUSTIFICARE IL LICENZIAMENTO DI UN DIRIGENTE?
Altre cause che possono portare al licenziamento di un dirigente sono comuni a quelle previste nella disciplina di licenziamento del lavoratore ordinario e sancite dall’art. 2118 c.c. Queste consistono nel giustificato motivo soggettivo e oggettivo: mentre il primo consta in un significativo inadempimento degli obblighi contrattuali il secondo è dovuto principalmente a motivi di crisi o di riorganizzazione aziendale, oppure legati all’attività produttiva.Tuttavia tali ragioni, non eguagliando la gravità di quei casi che possono portare ad un licenziamento per giusta causa, non sollevano il datore di lavoro dall’obbligo di preavviso del lavoratore, pena il pagamento della dovuta indennità di mancato preavviso. Sebbene questa sia la regola generale in tema di licenziamento per i lavoratori subordinati, tuttavia la Cassazione negli ultimi anni ha teso sempre più a superare tale orientamento nei casi di licenziamento di una figura dirigenziale, ritenendo che possa considerarsi “giustificato” un licenziamento ogni qualvolta venga addotto un qualsivoglia motivo idoneo ad evidenziare il turbamento o la rottura del rapporto fiduciario tra prestatore e datore di lavoro.
E’ palese come questa nuova connotazione di “giustificatezza” del licenziamento risulti connotata da un ampio margine di elasticità come può desumersi dalle parole della stessa Suprema Corte quando afferma che “il rapporto fiduciario che lega il dirigente al rapporto di lavoro è particolarmente stretto in ragione delle mansioni affidate e, quindi, suscettibile di essere leso – specialmente per i dirigenti al vertice dell’organigramma aziendale…- anche da mera inadeguatezza rispetto alle aspettative riconoscibili ex ante o da un’importante deviazione della linea segnata dalle direttive generali del datore di lavoro…o se il datore di lavoro gli addebiti un comportamento negligente, o colpevole in senso lato,ovvero se, a base del recesso, siano poste condotte comunque suscettibili di pregiudicare il rapporto di fiducia tra le parti, dovendosi comunque escludere l’arbitrarietà del licenziamento…” (Cass. 13 dicembre 2010 n.25145, Cass. 10 febbraio 2015, n. 2553, Cass. 10 dicembre 2015 n. 24941).
Tuttavia, anche quando il giudice riconosca come giustificato ( nel senso anzidetto) il licenziamento, ricordiamo che al di fuori della giusta causa sarà comunque dovuta al prestatore l’indennità di mancato preavviso, qualora non sia stato lavorato, ma senza alcun obbligo di versamento di alcuna indennità supplementare.
COME FAR VALERE I PROPRI DIRITTI NEI DIVERSI CASI DI INTERRUZIONE DEL RAPPORTO LAVORATIVO?
In caso di recesso dal rapporto lavorativo, sia in materia di licenziamento che di dimissioni, molte sono le questioni giuridiche che posso venire alla luce, sia per colui che subisce tale situazione, sia per colui che invece decide di avvalersi di tale diritto giuridicamente tutelato dal nostro codice civile. Per affrontare al meglio e riuscire a far valere le proprie ragioni in ognuno di questi casi è fondamentale essere informati sulle diverse soluzioni disposte dal nostro ordinamento per far fronte alle difficoltà che potrebbero presentarsi.
Il nostro Studio offre consulenza in materia di del diritto del lavoro nei suoi uffici di Bologna in Via d’Azeglio 58, Sasso Marconi in via Porrettana 341 e Padova in Via S. Camillo De Lellis, 37.
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