licenziamento per giustificato motivo

Con la recente sentenza 16979/2013 la Corte di Cassazione è intervenuta sulla ripartizione dell’onere probatorio della possibilità di reimpiego, da parte del datore di lavoro, di un lavoratore licenziato per giustificato motivo oggettivo.

La Corte d’Appello, ritenendo sussistente il giustificato motivo oggettivo sotteso al provvedimento espulsivo, integrato dalla riorganizzazione del ciclo produttivo con soppressione della prestazione precedentemente svolta dal lavoratore, e ritenendo dimostrata l’impossibilità di un utile reimpiego del lavoratore aveva ritenuto legittimo il licenziamento effettuato dal datore di lavoro.

D’altra parte, secondo la Corte d’Appello, il lavoratore non aveva dimostrato una possibile ricollocabilità in altre società del gruppo non assolvendo di fatto all’onere di allegazione e deduzione delle concrete opportunità di reimpiego in relazione alla propria qualifica.

Il lavoratore, pertanto, ricorre in Cassazione sulla base di due motivi: con il primo motivo il ricorrente si duole che la Corte di merito abbia rigettato l’impugnativa del licenziamento pur non essendo risultato provato il motivo del licenziamento e non abbia indicato atti e prove esaminate per qualificare la riorganizzazione e l’esternalizzazione; con il secondo motivo, deducendo violazione della L. n. 604 del 1966, art. 3, degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’impossibilità d’impiego alternativo, il ricorrente si duole della statuizione della Corte d’Appello in tema di ripartizione dell’onere probatorio in ordine al possibile reimpiego.

Il primo motivo viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione, in quanto il ricorrente aveva omesso l’allegazione della comunicazione del licenziamento o, comunque, l’indicazione della sede processuale nella quale il documento era stato prodotto e non aveva precisato i canoni interpretativi violati dalla Corte d’Appello nella sua decisione.
Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, l’art. 366, n. 6 c.p.c., “oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto; tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 3, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 28547/2008; Cass., n. 20535/2009).”

Inoltre, il ricorrente ha omesso di individuare i fatti specifici, controversi o decisivi in relazione ai quali si assume il vizio di carente motivazione, richiedendo, inammissibilmente, in sede di legittimità, un riesame del merito, limitandosi soltanto a denunciare la mancata motivazione da parte del giudice in ordine alle argomentazioni esposte nel giudizio di appello.

Anche il secondo motivo viene disatteso dalla Corte di Cassazione.
In tema di ripartizione dell’onere probatorio, incombe al datore di lavoro, da un lato, l’onere della prova dell’impossibilità di un utile ricollocamento del lavoratore nell’ambito della società, ed al lavoratore, dall’altro, l’onere di provare la ricollocabilità in altre società del gruppo societario.

Nel caso di specie, tuttavia, il lavoratore non aveva assolto all’onere di allegazione delle concrete opportunità di reimpiego in relazione alla propria qualifica.

Inoltre, non aveva svolto specifiche argomentazioni critiche rispetto alle ragioni che la sentenza impugnata aveva posto a fondamento della decisione riguardo ai profili inerenti all’obbligo di repechage.

Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione “il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere. Dunque, il motivo che non rispetti tale requisito deve considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo e, in riferimento al ricorso per Cassazione, tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (cfr., ex plurimis, Cass. 359/2005).”