Ancora una volta le nostri corti si sono trovate a dover affrontare questioni connesse alle coppie che, non potendo avere figli nemmeno ricorrendo alle tecniche della procreazione medicalmente assistita, scelgono la maternità surrogata in Paesi ove la stessa è consentita.

Il ricorso a questo escamotage è frequente per aggirare gli innumerevoli ostacoli e divieti imposti dalla nostra legislazione.

Nel caso che qui occupa, una coppia italiana, dopo essere ricorsa invano alle tecniche di fecondazione in vitro, concluse un accordo di maternità surrogata (c.d. utero in affitto) in Russia, conformemente alla normativa del luogo. In questo modo, i coniugi sono ivi stati registrati come genitori del bambino, senza alcuna indicazione circa l’accordo. Tornati in Italia, però, si sono visti rifiutare la registrazione della nascita del figlio dall’ufficiale dello stato civile, che anzi ha denunciato la coppia per i reati di falso e di violazione della normativa in materia di adozione. Inoltre, il Pubblico Ministero presso il Tribunale per i minorenni competente, aveva chiesto l’apertura della procedura dello stato di adottabilità del figlio, poi accolta, in quanto, ai sensi della legislazione italiana, il neonato era da considerarsi un minore in  stato di abbandono.

Il Tribunale per i minorenni ha quindi affidato il bambino ad un’altra coppia, poiché la registrazione del certificato di nascita russo era contrario all’ordine pubblico, perché il bambino era nato da maternità surrogata.

La coppia, che si è vista togliere il proprio figlio, è ricorsa alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale ha statuito che la decisione dei giudici italiani è stata assunta in conformità alla normativa interna, ma che tuttavia il riferimento all’ordine pubblico non può essere assunto a ragione giustificatrice di qualsiasi misura. 

Infatti, l’allontanamento di un bimbo dalla sua famiglia deve essere una misura adottabile solo in caso di immediato pericolo. La Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo  ritiene di primaria importanza assicurare al minore la cittadinanza e l’identità. 
Per la Corte di Strasburgo, quindi, le autorità italiane hanno violato l’art. 8 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (“Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari, così come riconosciute dalla legge, senza ingerenze illegali. Se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati parti devono concedergli adeguata assistenza e protezione affinché la sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile”), non avendo trovato il giusto equilibrio tra gli interessi in gioco. Tale violazione però non comporta per lo Stato italiano l’obbligo di riconsegnare il minore ai ricorrenti perché nel frattempo il bambino aveva sviluppato legami affettivi con la nuova famiglia affidataria, dalla quale non può essere allontanato.
 La Corte ha condannato l’Italia a rifondere ai ricorrenti 20.000 euro per il danno morale patito.