L’avvocato del lavoro spesso affronta la annosa questione del mobbing, tematica da tempo oggetto di studi scientifici e giuridici.
Per maggiori approfondimenti in tema di mobbing rimandiamo alla copiosa produzione dottrinale e giurisprudenziale, ed ai siti internet di Inail, Inps, e, tra gli altri, www.wikilabour.it.
Nel caso che affrontiamo è interessante la pronuncia della Corte di Cassazione civile , sez. lavoro, sentenza 02.10.2013 n° 22538, che affronta il particolare tema del licenziamento irrogato nei confronti del lavoratore a causa del superamento del c.d. “periodo di comporto” (ossia il tempo massimo di malattia consentito dal contratto collettivo di lavoro), qualora la malattia derivi da comportamenti di mobbing del datore di lavoro.
Il licenziamento del dipendente assentatosi per malattia provocata dal mobbing del datore di lavoro (consistito in contestazioni disciplinari, sanzioni e visite fiscali eccessive e sproporzionate), secondo la Corte è illegittimo, anche se il lavoratore ha superato il periodo di comporto.
Un lavoratore era stato oggetto di numerose sanzioni disciplinari “che andavano dalla multa alla sospensione”. Inoltre, durante la malattia, era stato sottoposto, nell’arco di 3 mesi, a ben 15 visite mediche di controllo e, poi, licenziato a seguito di nuova malattia (per una “crisi psicologica” determinata da un rimprovero da parte di un superiore) per superamento del periodo di comporto.
Come riferito su www.altalex.it “sia in primo grado che in appello, il giudice del merito ha ritenuto che le sanzioni irrogate fossero sproporzionate o insussistenti sul piano disciplinare. Inoltre, ha accertato, mediante apposita c.t.u., che le assenze per malattia erano diretta “conseguenza dell’ambiente lavorativo e della condotta aziendale” posta in essere ai danni del dipendente.
La Suprema Corte, rigettando il ricorso proposto dal datore di lavoro, ha confermato, da un lato, l’esistenza del nesso causale tra la malattia e le condizioni di lavoro e le sanzioni illegittime subite; dall’altro, l’illegittimità del licenziamento, non potendosi ritenere superato il comporto, attesa la riconducibilità delle assenze per malattia alla condotta aziendale.
Inoltre, sull’ammissibilità in queste ipotesi della c.t.u., la Cassazione ha chiarito che è possibile affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati, o dati per esistenti (consulente deducente), ma anche accertare i fatti stessi (consulente percipiente). In tal caso, la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova, essendo solo necessario che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche.