La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata, con la sentenza 15922/2013, in tema di contratto di lavoro a progetto.
In particolare, la sentenza si occupa della conformità delle concrete attività previste dal contratto con la particolare fattispecie del contratto di lavoro a progetto.
La società chiedeva l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Brescia, che, riformando la decisione di primogrado, aveva dichiarato la conversione dei contratti di lavoro a progetto stipulati con la lavoratrice in contratti di lavoro a tempo indeterminato.
Nella prima parte, la società sosteneva che la valutazione del contenuto del contratto a progetto stipulato tra le parti operata dalla Corte non sarebbe adeguata e corretta.
Nella seconda parte, invece, sosteneva che la Corte avrebbe errato nel disporre l’automatica conversione del contratto di lavoro a progetto in rapporto di lavoro subordinato senza esperire alcuna prova a riguardo.
Secondo la Corte di Cassazione questa censura è infondata perchè la Corte d’Appello ha ritenuto provata la subordinazione sulla base dei compiti e degli obblighi a carico della lavoratrice indicati proprio nel contratto di lavoro a progetto stipulato tra le parti ed ha motivato adeguatamente sul punto.
Il problema posto dalla controversia non era quello di accertare quale fosse stato il lavoro svolto dalla lavoratrice in difformità rispetto a quello indicato nel contratto, ma, più a monte, di valutare se l’attività specificata nel contratto di lavoro a progetto fosse inquadrabile nello schema legislativo del lavoro a progetto o fosse un lavoro di natura subordinata.
Il contratto di lavoro a progetto è una forma particolare di lavoro autonomo definita dall’art. 61, d.lgs. 276/2003. La norma sancisce che perchè possa sussistere un contratto di lavoro a progetto non deve esservi vincolo di subordinazione e quindi si deve essere in presenza di un rapporto di lavoro autonomo.
All’interno di tale categoria, perchè possa parlarsi di lavoro a progetto è necessario che sussista un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore. Il progetto deve essere funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale.
Alla luce di quanto sopra, la Corte di Cassazione ha confermato la valutazione effettuata dalla Corte d’Appello, in quanto “la sentenza da atto del fatto che l’art. 1 del contratto stipulato tra le parti indicava l’attività richiesta alla lavoratrice in questi termini: “realizzazione e prosecuzione del progetto per la promozione e vendita di succhi di frutta , nonchè la distribuzione di depliants illustrativi, di campioni per l’assaggio, nonchè illustrazione di offerte promozionali, la sottoposizione e l’eventuale sottoscrizione al titolare di esercizi commerciali del contratto d’uso delle frigovetrine, segnalandoci usi difformi della vetrina stessa”.
L’art. 4 del contratto poi indicava, con tratti di inequivocabile cogenza, i seguenti obblighi a carico della lavoratrice: effettuare 18 visite clienti al giorno per 18/19 giornate al mese; vendere 70 cartoni di succo di frutta per ogni giornata lavorativa; trasmettere alla azienda, con cadenza quotidiana e settimanale, i dati di vendita.”
La Corte d’Appello, infatti, aveva ritenuto che questa attività lavorativa, consistente fondamentalmente nel vendere un minimo di 70 cartoni di succo di frutta al giorno visitando diciotto clienti al giorno, per l’oggetto e per le modalità con le quali doveva essere realizzata, non integrasse un lavoro autonomo a progetto, ma un lavoro di natura subordinata.