casa coniugale

La Corte di Cassazione afferma che bisogna tutelare primariamente l’interesse supremo dei figli.

Con la pronuncia n. 15753 del 2013, la Corte di Cassazione ha confermato una sentenza della Corte d’Appello di Bologna che a sua volta aveva riformato una sentenza del Tribunale di Reggio Emilia. In quest’ultima pronuncia, relativa ad un procedimento di divorzio, era stato disposto l’affidamento esclusivo di un figlio minore alla madre, ponendo a carico del padre un assegno di mantenimento per il figlio stesso e per l’altra figlia maggiorenne, ma non autosufficiente economicamente. Contestualmente era stata revocata l’assegnazione della casa coniugale all’ex moglie.

La Corte d’Appello di Bologna, aveva poi successivamente riformato la sentenza assegnando la casa coniugale, di proprietà di entrambi i coniugi, alla ex moglie.

Il marito ha poi proposto ricorso in Cassazione per violazione dell’art. 155 quater c.c., nella parte in cui dispone che “il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio”.

La Suprema Corte ha tuttavia rigettato il ricorso richiamando quanto affermato dalla sentenza n. 308/2008 della Corte Costituzionale che, proprio con riferimento all’art. 155 quater del Codice Civile, ha sottolineato come tale norma debba essere interpretata tenendo sempre salvaguardato prioritariamente l’interesse dei figli minori, nonché quello dei figli maggiorenni conviventi, ma non autosufficienti economicamente.

Sulla base di tale orientamento, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello di Bologna abbia provveduto a disporre l’assegnazione della casa coniugale alla ex moglie proprio per salvaguardare “l’interesse collegato allo sviluppo psicofisico del giovane e al tempo trascorso nella casa coniugale”.