L’entrata in vigore della Legge n.92 del 2012, meglio conosciuta come Riforma Fornero, ha modificato radicalmente l’ art. 18 dello Statuto dei Lavoratori creando, non poche incertezze, sul decorso del termine di prescrizione dei crediti di lavoro.
Anteriormente alla riforma, la prescrizione dei crediti di lavoro soggiaceva a regole diverse, in funzione delle due tutele presenti all’interno del nostro ordinamento.
La prima, la tutela reale, scaturiva dall’art. 18 dei lavoratori e veniva all’applicata nelle imprese con un numero di lavoratori superiore a 15; essa prevedeva, in caso di licenziamento illegittimo, la reintegrazione del lavoratore nell’azienda, pertanto, essendo il lavoratore particolarmente tutelato, il termine di prescrizione dei crediti di lavoro (ossia il tempo entro cui il diritto deve essere fatto valere prima che si estingua per essere trascorso troppo tempo) decorreva dal momento del sorgere del credito, ben potendo (ad avviso dei giudici) il lavoratore esercitare il proprio diritto senza timore di un eventuale licenziamento “per vendetta” del datore di lavoro, proprio perchè tutelato in modo forte dal “vecchio” articolo 18.
La seconda, la tutela obbligatoria, veniva invece applicata ai lavoratori delle imprese di minori dimensioni (quindici o meno dipendenti); quest’ultima prevedeva e prevede tutt’oggi che, in caso di licenziamento illegittimo, il lavoratore abbia diritto alla riassunzione (quindi con costituzione di un nuovo rapporto di lavoro), ma viene concessa al datore di lavoro la opzione di sostituire alla riassunzione il pagamento di un’indennità economica.
In tali casi pertanto, qualora il dipendente abbia dei crediti di lavoro da recuperare, posto che egli è meno protetto e maggiormente soggetto ad una ipotesi di licenziamento per “ritorsione”, si è sempre inteso che il termine di prescrizione del diritto decorre dalla data di cessazione del rapporto di lavoro, cioè dal momento in cui egli, anche da un punto di vista psicologico, può serenamente far vale il proprio credito.
La riforma Fornero ha modificato l’art. 18 dello Statuto rendendo oramai praticamente generalizzata la tutela solo economica per i licenziamenti illegittimi, di fatto quindi monetizzando il licenziamento anche per le imprese con più di 15 dipendenti.
Alla luce della novità legislativa, ossia la modifica sostanziale dell’art. 18 della Legge 300/1970, con il venir meno della tutela reale, non era chiaro agli addetti ai lavori, giudici ed avvocati, come sarebbe cambiato il termine di prescrizione dei crediti di lavoro: si è in presenza di un vuoto legislativo, non di poco conto, all’interno della Riforma Fornero.
Grazie ad una sentenza depositata il 16 Dicembre 2015 nel Tribunale di Milano, una risposta all’interrogativo non ha tardato molto ad arrivare.
La sezione Lavoro del Tribunale lombardo ha rigettato l’eccezione di parte datoriale della prescrizione quinquennale dei crediti di lavoro avanzata, rilevando come, entrata in vigore dal 18/07/2012 la legge 92/12 “i lavoratori pur dipendenti da azienda sottoposta all’art. 18 SL, potessero incorrere – per la durata della relazione lavorativa – nel timore del recesso [licenziamento] nel far valere le proprie ragioni, a fronte della diminuita resistenza della propria stabilità” pertanto “si può ritenere che con riferimento a nessuna delle somme richieste da parte attorea sia maturata la prescrizione, da calcolarsi a ritroso in cinque anni dal 18/07/2012 [data della risoluzione del rapporto di lavoro]”.
E’ dunque evidente che, con l’entrate in vigore della Riforma Fornero e la sostanziale scomparsa della tutela reale legata all’art. 18, oggi tutti i lavoratori soggiacciono alla tutela obbligatoria, in presenza della quale, come detto, si prevede che il termine di prescrizione dei crediti lavorativi inizi a decorrere solo dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.
La recente sentenza appare in linea quindi, con i principi sanciti dalla Corte costituzionale che, con la nota sentenza n. 63 del lontano 10 giugno 1966 (prima della entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori nel 1970), partendo dalla considerazione che durante il rapporto di lavoro, il lavoratore si trova in una condizione di sudditanza psicologica concretizzatasi “nel timore del recesso, cioè del licenziamento che spinge o può spingere lo stesso sulla via della rinuncia ad una parte dei propri diritti”, affermò che i termini decorrevano dalla cessazione del rapporto di lavoro.