Secondo la Cassazione la prostituzione non rientra tra le attività socialmente pericolose tali da giustificare l’applicazione della misura prevista dall’art. 2 della legge n. 1423 del 1956, ossia il foglio di via.
Infatti, mentre le Corti di merito che erano state chiamate a risolvere il caso, avevano ritenuto sussistente la pericolosità di una prostituta in virtù del fatto che la stessa era stata più volte “controllata, mentre esercitava la prostituzione in atteggiamenti definiti ‘adescatori e scandalosi’, nonostante la presenza in loco di civili abitazioni”, la Corte di cassazione ha precisato che tale attività non è di per sé pericolosa e ha così ordinato al giudice penale di disapplicare l’atto emesso dal questore nei confronti della donna condannata per il reato di cui all’art. 2 della l. n. 1423/1956 (inottemperanza al foglio di via obbligatorio).
I requisiti per poter emettere l’ordine di allontanamento suddetto sono indicati dall’art. 1 di tale legge: deve trattarsi di soggetti abitualmente dediti a traffici delittuosi, che vivono con i proventi derivanti da tali attività, ovvero dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, sicurezza o tranquillità pubblica. L’elencazione è tassativa e non ricomprende l’attività di prostituzione, a meno che dalla stessa non derivino altri reati. Pertanto, come sottolineano gli Ermellini, l’offesa o la messa in pericolo dei beni indicati dall’art. 1 suddetto deve discendere da veri e propri reati commessi dal soggetto e non da una condotta che di per sé non costituisce reato, qual è la mera attività prostitutoria. E nemmeno la prostituta può rispondere di reati o comportamenti pericolosi commessi da terze persone, in occasione de tale attività, insussistendo una posizione di garanzia della prostituta, a meno che l’attività di quest’ultima non si concretizzi in condotte di reato.
La Suprema Corte, quindi, afferma ancora una volta una sorta di doverosità della disapplicazione di tale atto da parte del giudice penale, perché “è del tutto pacifico che l’esercizio della prostituzione in sé non rientra tra le categorie delle persone pericolose ai sensi della vigente normativa”.