Una Rana nel salame: è danno non patrimoniale per il consumatore

Il Tribunale di Brindisi è stato chiamato a pronunciarsi su un’insolita vicenda che ha come protagonista una famiglia che ha acquistato un salame al supermercato e vi ha trovato dentro… una rana!

Nell’atto di citazione – introduttivo del processo – la famiglia coinvolta lamentava disturbi intestinali e uno stato di nausea che aveva provocato un definitivo rifiuto psicologico a consumare insaccati, dopo il rinvenimento della carcassa all’interno del salame.

In seguito alla presentazione della denuncia, i NAS di Taranto eseguirono apposite indagini volte ad individuare la presenza effettiva di un corpo estraneo all’interno dell’alimento e successivamente l’ARPA di Brindisi accertò la presenza di una rana il cui corpo era amalgamato all’ impasto del salame prelevato dai NAS di Taranto.

L’oggettiva presenza all’interno dell’insaccato di un corpo estraneo ha dimostrato che la ditta produttrice non ha eseguito la lavorazione del salume a regola d’arte, adottando adeguati standard di diligenza professionale.

Ferma restando, quindi, la responsabilità penale del produttore derivante dall’art. 5 della legge 283 del 1962 (Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande) l’organo giudicante ha fatto chiarezza anche sul confine tra danno biologico e danno non patrimoniale in generale, subito dalle vittime. Quest’ultimo è previsto all’art. 2059 c.c. e si riferisce al turbamento psichico sofferto dalla vittima di un illecito. L’illecito deve derivare dalla violazione di legge, di diritti costituzionalmente tutelati ovvero anche di obblighi contrattuali, se perpetrati in modo da creare un pregiudizio interiore. Il danno non patrimoniale, non potendo essere quantificato in modo certo e preciso (a differenza del danno patrimoniale), viene liquidato in via equitativa dal giudice sulla base di massime di esperienza. E proprio il giudice ha ritenuto, sulla base delle nozioni di comune esperienza, che la vista di un corpo estraneo nel cibo genera ripugnanza, senso di nausea e che tale fatto possa negativamente incidere per il futuro importando la rinuncia a consumare alimenti dello stesso tipo.

Tutto questo produce una sofferenza psico-fisica e un turbamento d’animo più o meno durevole tradizionalmente denominati come danno morale, riconducibile al genus del danno non patrimoniale.

Non si ravvisano, al contrario, gli estremi per il riconoscimento del danno biologico: «la semplice circostanza che l’episodio abbia creato un turbamento tale da ostacolare per il futuro il consumo di insaccati non costituisce prova dell’esistenza di un danno biologico inteso come lesione dell’integrità psico-fisica suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico­relazionali della vita del danneggiato» (art. 138, comma 2, letto a), D.Lgv. n. 209/2005).