La legge 92/2012 sulla riforma del diritto del lavoro, ha introdotto delle novità anche in materia di associazione in partecipazione.
L’associazione in partecipazione è un contratto, disciplinato dal codice civile agli artt. 2549-2554, con il quale l’associante attribuisce all’associato una partecipazione agli utili dell’impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto.
Quindi elementi distintivi di tale contratto sono da un lato la presenza di un’impresa o di uno o più affari, dall’altro l’apporto dell’associato che deve essere di natura patrimoniale ed essere strumentale all’impresa o affare.
La gestione dell’impresa o dell’affare spetta all’associante, tuttavia il contratto può prevedere quale tipo di controllo possa esercitare l’associato sull’impresa o sullo svolgimento dell’affare oggetto dell’associazione in partecipazione. In ogni caso l’associato ha diritto al rendiconto dell’affare compiuto o al rendiconto annuale se tale contratto si protrae per più di un anno.
Se nel contratto non è stabilito diversamente, l’associato partecipa alle perdite dell’impresa o dell’affare nella stessa misura in cui partecipa agli utili, ma le perdite non possono superare il valore dell’apporto dell’associato.
L’apporto dell’associato può consistere anche in una prestazione di lavoro da lui svolta, in questo caso la partecipazione agli utili spettante al lavoratore è determinata in base agli utili netti dell’impresa e, per le imprese soggette alla pubblicazione del bilancio, in base agli utili netti risultanti dal bilancio regolarmente approvato e pubblicato.
Si è posto il problema di distinguere la prestazione di lavoro svolta nell’impresa come apporto nell’ambito di un contratto di associazione in partecipazione o come prestazione di lavoro subordinato.
I caratteri distintivi elaborati dalla giurisprudenza riguardano: la presenza del rendiconto; l’assenza di una retribuzione fissa mensile; l’assenza di un potere gerarchico e disciplinare dell’associante; la presenza di un effettivo potere di controllo sulla gestione dell’impresa.
Proprio perché il confine tra associazione in partecipazione e rapporto di lavoro subordinato è molto labile, la riforma Fornero ha aggiunto il 2° comma all’art. 2549 c.c. per prevenire gli abusi derivanti da un utilizzo del contratto di associazione in partecipazione in maniera elusiva della normativa in materia di rapporto di lavoro subordinato.
Si prevede infatti che il numero degli associati impegnati in una medesima attività non può essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti, ad eccezione dell’ipotesi in cui gli associati siano legati all’associante da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinità entro il secondo.
In caso di violazione di tale divieto, il rapporto con tutti gli associati il cui apporto consiste anche in una prestazione di lavoro si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato.