Il datore di lavoro, nell’ambito del suo potere di “capo” dell’azienda, può irrogare delle punizioni ai dipendenti, tecnicamente chiamate “sanzioni disciplinari”.

La norma base che disciplina le modalità ed i limiti del potere disciplinare è l’art. 7 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970).

L’art. 7 recita: “Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano.

Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa.

Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato.

Fermo restando quanto disposto dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportano mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni.

In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.

Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire l’autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell’associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell’ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del Collegio.

Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall’invito rivoltogli dall’ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l’autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio.

Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione.”

Uno dei punti di cui si discute (dentro e fuori dai tribunali) è quello della necessaria “tempestività” della contestazione con cui il datore di lavoro segnala al lavoratore una possibile infrazione disciplinare, invitandolo a difendersi dalla incolpazione.

Il requisito della tempestività della contestazione e della sanzione non è esplicitamente previsto dalla legge, ma è un requisito ritenuto come necessario dalla dottrina e dalla unanime giurisprudenza.

Il concetto è: non si può incolpare un lavoratore per fatti avvenuti troppo tempo addietro, e men che meno sanzionarlo per questi, poiché – in generale – una sanzione che inteviene troppo tempo dopo i fatti che vuole punire perde la sua efficacia ed in buona sostanza la sua ragione di essere.

Ovviamente il concetto di “tempestività” va visto ed interpretato in concreto.

Per cui se è vero che in generale tempestività vuol dire “subito”, nella immediatezza dei fatti, dall’altra parte è altrettanto logico che il datore di lavoro possa contestare un fatto illecito solo dopo averlo compiutamente conosciuto, e non solo sospettato.

Ne deriva che la contestazione in determinati casi può essere effettuata anche settimane o mesi dopo il comportamente disciplinarmente sanzionabile.

Da ultimo la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10356 del 2016 ha affrontato un caso nel quale la contestazione disciplinare è stata comunicata al lavoratore addirittura due anni dopo i fatti contestati.

Il lavoratore ha criticato ed eccepito la non tempestività della contestazione dato il molto tempo trascorso, ma la Corte di Cassazione ha respito questa linea difensiva, sulla base del presupposto che il datore di lavoro aveva dovuto compire molte ed approfondite analisi sullo svolgimento dei fatti, e tali analisi avevano richiesto molto tempo, per cui la effettiva conoscenza dell’illecito disciplinare da parte del datore di lavoro poteva dirsi intervenuta solo a distanza di molto tempo.

E la contestazione disciplinare da parte del lavoratore può effere svolta solo a fronte di una piena e completa conoscenza dei fatti.