SERVIZIO CIVILE NAZIONALE: POSSONO ACCEDERVI ANCHE GLI STRANIERI SOGGIORNANTI IN ITALIA ?

Sulla rivista “Questione giustizia” è recentemente stato pubblicato un interessante articolo su una tematica molto particolare e innovativa.

La pubblicazione è di Annamaria Casadonte, giudice del Tribunale di Reggio Emilia, ed abbiamo ritenuto utile riportarla in forma riassuntiva, anche per gli importanti contenuti processuali che vengono affrontati.

Il servizio civile è per i giovani fino ai 28 anni un interessante opportunità di lavoro e formazione, oltre che di crescita personale.

Tra l’altro è una delle forme in cui si articola il programma europeo Garanzia Giovani di sostegno all’occupazione giovanile.

In riferimento alla possibilità di accedere a questa esperienza riservata ai giovani si è recentemente sviluppato un particolare contenzioso processuale che ha suscitato interesse tra gli addetti ai lavori perché racconta di un percorso di integrazione per i giovani stranieri regolarmente soggiornanti in Italia (spesso da molto tempo e con significativi legami sociali, scolastici ecc. con il nostro paese) che, tuttavia, si imbatte nello scoglio in alcuni casi davvero anacronistico della cittadinanza italiana.

La vicenda giudiziale ha inizio nel 2011 allorchè avanti al Tribunale di Milano veniva proposta da un giovane pakistano regolarmente soggiornante in Italia l’azione civile contro la discriminazione nei confronti del bando del 2011 per la selezione di 10481 volontari da impiegare nei progetti del Servizio Civile Nazionale (bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 20 settembre 2011, n. 75, 4^ serie speciale), sostenendone il carattere discriminatorio laddove l’art. 3 del bando richiedeva il requisito della cittadinanza italiana.

L’esito del giudizio di primo grado era stato favorevole al ricorrente: il giudice di primo grado aveva infatti dichiarato il carattere discriminatorio dell’art. 3 del bando, là dove richiede tra i requisiti e le condizioni di ammissione il possesso della cittadinanza italiana, e aveva ordinato alla Presidenza del Consiglio dei ministri (a) di sospendere le procedure di selezione, (b) di modificare il bando nella parte in cui richiede il requisito della cittadinanza italiana, consentendo l’accesso anche agli stranieri soggiornanti regolarmente in Italia, e (c) di fissare un nuovo termine per la presentazione delle domande.

Il provvedimento veniva appellato dall’Avvocatura dello Stato, ma la Corte d’appello di Milano, con provvedimento del 22.3.2012, confermava la decisione del tribunale basandosi sull’ “irragionevolezza” ed il “carattere discriminatorio” della scelta di escludere gli stranieri residenti nel nostro Paese dalla possibilità di accedere su base volontaria al servizio civile, anche in forza della considerazione che l’adempimento dei doveri di solidarietà cui fa riferimento l’art. 2 Cost. si riferisce a tutti i consociati, anche se non cittadini italiani.

L’Amministrazione aveva dunque proposto ricorso per cassazione.

La Corte di cassazione, con ordinanza n. 01.10.2014 n. 20661, innanzitutto statuiva l’intervenuta carenza di interesse anche perché nel frattempo il giovane straniero era diventato cittadino italiano e perchè i termini del bando erano spirati, precisando però che “la particolare importanza del thema decidendum induce il Collegio, stante la ravvisata inammissibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, a ritenere sussistenti le condizioni per una pronuncia d’ufficio ai sensi dell’art. 363, terzo comma, c.p.c., con l’enunciazione – nell’esercizio della funzione nomofilattica assegnata a questa Corte dalla citata disposizione del codice di rito – del principio di diritto nell’interesse della legge sulla questione di diritto trattata nella causa di merito e che il ricorso divenuto inammissibile propone”.

Sulla base di ciò è stato dunque esaminato il ricorso e l’esito a cui è giunta la Corte è stato quello di ritenere impraticabile un’interpretazione costituzionalmente orientata del dato normativo di diritto positivo tale da stravolgerne completamente il senso letterale.

In altri termini, il chiaro disposto normativo non consente, secondo la Corte, di ricavare dal testo un’interpretazione che estenda la possibilità di accedere al servizio civile agli stranieri. Una tale operazione ermeneutica supererebbe il confine fra interpretazione e disapplicazione della norma: cosa non consentita dal nostro ordinamento il quale, per l’ipotesi in cui il giudice ritenga una norma in contrasto con disposizioni costituzionali conosce un meccanismo ben diverso, ossia il rinvio alla Corte costituzionale, unico organo destinatario della funzione di sindacare la conformità della legge ordinaria alla Costituzione. Infatti, “l’interpretazione adeguatrice deve muoversi nel rispetto delle potenzialità obiettive del dato testuale. Essa non può essere condotta oltre i limiti estremi segnati dall’univoco tenore della norma interpretata: tale circostanza segna il “confine”, “in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale”

Sulla base di tale premessa, ritenendo decisivo per l’esito del giudizio (ossia per la formulazione del principio di diritto finalizzato a concretare la funzione nomofilattica della Corte) la valutazione della costituzionalità della norma, la Corte ha adoperato il medesimo ragionamento fatto proprio dal giudice di merito non più per ritenere fondata la pretesa del ricorrente ma per ritenere non manifestamente infondata la questione di legittimità.

Secondo la Corte, dunque, l’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, contrasta con gli artt. 2 e 3 Cost.. in quanto le attività svolte nell’ambito dei progetti di servizio civile nazionale rappresentano diretta realizzazione del principio di solidarietà, e “l’esclusione dei cittadini stranieri regolarmente soggiornanti nello Stato italiano dalla possibilità di essere ammessi a prestare il servizio civile nazionale preclude allo straniero il pieno sviluppo della sua persona e l’integrazione nella comunità di accoglienza, impedendogli di concorrere a realizzare progetti di utilità sociale nell’ambito di un istituto giuridico a ciò deputato con una sua dimensione pubblica, oggettiva ed organizzativa e, di conseguenza, di sviluppare il valore del servizio a favore degli altri e del bene comune come componente essenziale di vita e come forma di educazione ai valori della Repubblica.”

La decisione della Corte di cassazione con cui la questione è stata rimessa alla Corte costituzionale, arriva qualche giorno prima del parere espresso il 9 ottobre 2014 dal Consiglio di Stato su richiesta dell’Ufficio legislativo del Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali, su sollecitazione del Dipartimento della gioventù e del Servizio Civile nazionale in vista dell’adozione di bandi straordinari.

 Il Consiglio di Stato si è espresso a favore della disapplicazione dell’articolo citato ritenendolo “incompatibile con il divieto, sancito dalla normativa europea, di prevedere per i cittadini stranieri (siano essi comunitari, extracomunitari lungo soggiornanti o beneficiari di protezione internazionale), anche in ordine alla formazione professionale, un trattamento diverso rispetto a quello stabilito per i cittadini nazionali”.

Nel suo parere, il Consiglio di Stato, ripercorre l’evoluzione nel tempo del servizio civile sottolineando come attualmente l’istituto si configuri in maniera autonoma e diversa dal servizio militare. Il concetto di “difesa della Patria”, si legge nel parere, ha assunto oggi un respiro ben più ampio da quello stricto sensu riconducibile, all’articolo 52 Cost., che, nella mutata prospettiva, deve essere riletto alla luce dei principi costituzionali di cui agli articoli 2 e 4 della Costituzione.
“In definitiva, l’evoluzione del servizio civile ha visto mutare quello che inizialmente era un istituto sostitutivo del servizio militare di leva il cui fondamento costituzionale era indiscutibilmente l’art. 52 della Costituzione, in un istituto a carattere volontario a cui si accede per pubblico concorso e avente finalità più ampie, che ricomprendono i doveri inderogabili di solidarietà sociale e i doveri di concorrere al progresso materiale e spirituale della società previsti rispettivamente dagli articoli 2 e 4 Cost., gravanti non solo sui cittadini italiani, ma anche sui cittadini stranieri che risiedono nel nostro Paese”.

Quanto alla natura giuridica, il servizio civile, non costituisce, ad avviso del Consiglio di Stato, un rapporto di lavoro (a ciò ostando il disposto dell’articolo 9, che al comma 1 stabilisce che “1. L’attività svolta nell’ambito dei progetti di servizio civile non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro..”), ma va considerato quale esperienza formativa volta a favorire l’ingresso nel mondo del lavoro, al pari dell’istituto del tirocinio, dovendosi, pertanto, ritenere riconducibile alla categoria della formazione professionale che non comporta l’esercizio di pubblici poteri.

Il Consiglio di Stato conclude ritenendo che la disposizione di cui all’articolo 3, comma 1, del d.lgs. n. 77 del 2002, non è suscettibile di un’interpretazione costituzionalmente orientata nel senso del riferimento del termine “cittadini” anche ai soggetti stranieri, ma va disapplicata poiché incompatibile con il divieto, sancito dalla normativa europea, per gli Stati membri, di prevedere per i cittadini stranieri (siano essi comunitari, extracomunitari lungosoggiornanti o beneficiari di protezione internazionale), anche in ordine alla formazione professionale, un trattamento diverso rispetto a quello stabilito per i cittadini nazionali.

In attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, sembrano giungere segnali di cambiamento: il bando del 2014 infatti non ha più richiesto il requisito della cittadinanza ed anzi nelle FAQ sul progetto Garanzia giovani consultabile sul sito www.serviziocivile.gov.it è espressamente chiarito che alla selezione, il cui superamento comporta per i volontari ammessi ai vari progetti un assegno mensile di euro 433,80, possono partecipare (anche) i cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia.

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