In questi giorni la cronaca nazionale e emiliana è concentrata sulle vicende politiche e processuali di due rappresentanti del partito democratico (Bonaccini e Richetti), candidati alle primarie in vista delle prossime elezioni regionali dell’Emilia-Romagna, per la nomina del presidente della Regione dopo le dimissioni di Errani (in realtà Richetti risulta essersi ritirato dalla competizione elettorale).
Sia Richetti che Bonaccini (con altri consiglieri regionali) risultano essere indagati dalla Procura della Repubblica di Bologna per un uso non corretto di denaro pubblico, denaro presumibilmente proveniente dalle casse regionali.
Gli organi di stampa riferiscono che il reato contesto sia quello di “peculato”.
Vediamo allora da vicino cosa prevede questa ipotesi delittuosa.
L’art. 314. del Codice penale recita “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni. Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita.”
Se dunque verrà confermata questa contestazione, bisognerà vedere se i comportamenti addebitati ai due politici, oltre ad essere veri e riscontrabili, siano anche riconducibili alla previsione di legge, in tutti i suoi aspetti, sia oggettivi (“avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria”), sia soggettivi (“il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio …”), verificando dunque se i due per il ruolo ricoperto possano essere considerati tali.
Seguiremo con attenzione gli sviluppi dell’inchiesta, e dei conseguenti riflessi politici.