La recente pronuncia n. 9671 del 22.04.2013 emessa dalla I sezione civile della Corte di Cassazione si rivela utile per esaminare le garanzie offerte dall’art. 156 del codice civile in caso di inadempimento dell’obbligo di mantenimento verso il coniuge o i figli in seguito alla separazione.
Nello specifico la Suprema Corte ha ribadito come “L’art. 156 c.c. prevede varie garanzie in caso di inadempimento dell’obbligo di mantenimento verso il coniuge o i figli: l’ordine a terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro all’obbligato, che una parte venga direttamente versata all’avente diritto, ovvero il sequestro di beni del coniuge obbligato. È da ritenere che i due mezzi possano essere concessi anche contemporaneamente, a carico del medesimo obbligato”.
Inoltre sono stati specificati i presupposti di tali strumenti di tutela che sia nel caso della corresponsione diretta che nel caso del sequestro, “non prevedono un generico pericolo nel ritardo, ma un preciso inadempimento dell’obbligato: questi non avrà corrisposto una o più rate dell’assegno di mantenimento. Il pericolo nel ritardo potrebbe avere qualche rilevanza, ma solo ad colorandum: l’obbligato potrebbe non aver pagato la rata di assegno per pura dimenticanza, e allora il giudice potrebbe non disporre immediatamente la misura di garanzia, ma il mancato pagamento di una rata, preceduto da ritardi nel pagamento delle precedenti e accompagnato da un generale disordine negli affari dell’obbligato, potrebbe indurre il giudice ad accogliere la domanda (tra le altre, Cass. n. 11062 del 2011)”.
Con riferimento allo strumento della corresponsione diretta, la Corte chiarisce come esso consista nell’ordinare a soggetti terzi di corrispondere al beneficiario le somme di spettanza dell’obbligato e che, quindi, “può trattarsi del suo datore di lavoro o dell’ente erogatore della pensione, ma pure del conduttore di immobile di sua proprietà o addirittura del debitore di una somma determinata, non necessariamente di prestazioni periodiche”.
E’ stato poi ribadito come il terzo non sia comunque parte del procedimento e che possa rifiutarsi “di ottemperare all’ordine, eccependo ad esempio l’inesistenza del debito: in tal caso non resta al coniuge che promuovere, nelle forme ordinarie, giudizio di accertamento del debito, chiedendo eventualmente la condanna del terzo debitore al risarcimento dei danni”.
Passando ad esaminare gli aspetti più squisitamente processuali, la Corte di Cassazione afferma che gli strumenti appena esaminati “possono essere richiesti (e concessi) nel corso del procedimento, con semplice istanza riportata nel processo verbale ovvero con ricorso separato, oppure, concluso il giudizio di merito, utilizzando il rito della camera di consiglio”.
E’ inoltre possibile la revisione del provvedimento, ma “è necessario, anche in tal caso, un mutamento delle circostanze, una variazione della situazione di fatto che ha costituito il presupposto della pronuncia. Può trattarsi di un venir meno, un attenuarsi del pericolo di futuri inadempimenti, ad es. perché il disordine degli affari dell’obbligato è stato superato”.