Con questa curiosa pronuncia, la Cassazione (sent. 41190/14) ha confermato che augurare la morte o un incidente stradale a un soggetto non può costituire reato (rispettivamente, di ingiuria e di minaccia).

La Cassazione, infatti, ha annullato senza rinvio una precedente sentenza del tribunale di Cassino che aveva condannato due imputati per i reati d’ingiuria e di minaccia nei confronti della loro controparte processuale, in quanto le avevano augurato di morire.

Le parole della Corte sono chiare e concise: «Augurarsi la morte di un’altra persona è certamente manifestazione di astio, forse di odio, nei confronti della stessa persona, ma poiché il precetto evangelico di amare il prossimo come se stessi non ha sanzione penale, la sua violazione è, appunto, penalmente irrilevante. Meno che mai costituisce ingiuria, perché desiderare la morte altrui non sta necessariamente a significare che si intenda offenderne l’onore e il decoro (e che di fatto li si offenda)».

Il nostro ordinamento penale, infatti, è, innanzi tutto, laico: non tutto ciò che è riprovevole moralmente e religiosamente, lo può essere anche per il diritto penale.

In secondo luogo, per il principio di materialità, non possono essere incriminate le mere intenzioni: l’intento criminale, in altre parole, deve fuoriuscire dalla sfera psichica dell’autore e concretizzarsi in atti che siano quanto meno idonei a provocare l’offesa, almeno allo stadio del tentativo punibile (art. 56, 1° co., c.p.).

Il semplice augurio di una morte immediata, per quanto malevola, non può essere penalmente rilevante.

Per quanto riguarda, invece, la speranza di vedere il proprio avversario processuale coinvolto in un sinistro stradale, non costituisce minaccia perché il soggetto non aveva dichiarato che si sarebbe attivato per provocare un incidente automobilistico, ma si è augurato solo che ciò accadesse casualmente a opera di terzi.