Dopo circa 30 anni d’attesa, l’11 Maggio 2016 è stato approvato in Italia il DDL Cirinnà che regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina le convivenze.

Finalmente dopo anni di attesa viene riconosciuto ai cittadini italiani gay, come già avveniva in gran parte dei paesi dell’U.E, il diritto di unirsi civilmente davanti ad un ufficiale di stato con la presenza di due testimoni e la possibilità di costituire così una “specifica formazione sociale” alla quale si applicheranno i medesimi diritti e doveri del matrimonio eterosessuale. L’unione civile infatti viene equiparata in tutto e per tutto al matrimonio sia nei rapporti patrimoniali (comunione e divisione dei beni, eredità, diritto al mantenimento) che nei rapporti con la pubblica amministrazione (graduatoria per alloggi per accesso ai servizi, assegni familiari, aspettative, trasferimenti, assistenza sanitaria, walfare, trattamenti fiscali, assicurativi, pensionistici come la pensione di reversibilità) che nei rapporti privati (contratti di locazione, tutela della privacy).

Le uniche distinzioni oggi presenti tra unione civile e matrimonio riguardano la stepchild adoption (ossia la possibilità del genitore non biologico di adottare il figlio naturale o adottivo del partner) e l’obbligo di fedeltà. Questi due punti sebbene previsti all’interno del testo originario del DDL Cirinnà, non sono riusciti a superare le opposizioni presenti all’interno del Senato.

Per quanto riguarda l’assenza dell’obbligo di fedeltà nelle unioni civili, questo non rileva particolari problematiche essendo considerato un retaggio arcaico all’interno del nostro codice civile e già interpretato in maniera molto elastica dai giudici. Al contrario, la filiazione è il nervo scoperto della legge poiché i figli nati all’interno dell’unione civile saranno considerati solo figli del genitore biologico; in sostanza in Italia non viene riconosciuto un diritto presente in molti ordinamenti europei (ad esempio in Spagna).

Tuttavia la legge nonostante abbia un contenuto minore rispetto a quello richiesto a gran voce dalla comunità LGBT, è da considerare comunque una pietra miliare dei diritti civili nel nostro paese e una rivoluzione del diritto di famiglia.

La seconda parte della legge disciplina la convivenza di fatto tra due persone sia eterosessuali che omosessuali non sposate le quali potranno stipulare contratti di convivenza in forma scritta davanti ad un notaio o ad un avvocato. All’interno di questi contratti di convivenza le parti potranno disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune indicandovi la residenza della coppia, le modalità di contribuzione alle necessità della vita comune in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo e il regime patrimoniale della comunione o separazione dei beni come da codice civile. Il contratto di convivenza non potrà essere sottoposto a termine o a condizione. I conviventi in sostanza, potranno avere gli stessi diritti dei coniugi per quanto concerne il ricovero, la malattia, la morte e, per quanto concerne il diritto agli alimenti, questo potrà essere erogato in relazione agli anni di convivenza avuta.

L’Italia, dopo anni di attesa, è riuscita ad allinearsi con tutti gli stati europei sul fronte delle unioni civili e delle coppie di fatto.